Come ci ricorda un bell’articolo di Valentina Santarpia sul Corriere della Sera del 29 luglio, in Italia il settore del trasporto pubblico locale sta inesorabilmente sprofondando nel baratro.
A Roma l’Atac, azienda dei pubblici trasporti controllata dal Comune, si trova a dover sostenere 744 milioni di debiti, un’inchiesta della magistratura con 8 indagati per 49 assunzioni sospette, e il 40% degli autobus fermi.
L’Amat, che scarrozza di qua e di là i cittadini palermitani, pur ricevendo dal Comune 51 milioni annui, segna a bilancio 9 milioni e mezzo di passivo, offre un servizio scadente, e fa girare per le strade autobus stravecchi (come certi brandy che creano l’atmosfera). En passant, l’azienda nutre un piccolo e agguerrito esercito di 1800 lavoratori, assunti negli anni con logiche che possiamo ben immaginare. Senza contare che proprio a Palermo si registra la percentuale più alta di “portoghesi”: il 50% dei passeggeri non paga il biglietto. Seconda classificata, Napoli, dove scendiamo al 33% di “smemorati”, a fronte di una media nazionale del 19%.
Buttando l’occhio alle faccende di casa nostra, c’è poco da sorridere. Nei primi sei mesi del 2013, sugli autobus alessandrini sono stati emessi 2.661 verbali di contravvenzione (fonte Il Piccolo). Non sembrano pochi… A seguire, abbiamo tutti sotto gli occhi il fatto che la nostra ATM è in grave sofferenza. In attesa di un piano di ristrutturazione condiviso e approvato, in giro ne abbiamo sentite di tutti i colori: dalla semplice riduzione di orari e stipendi, alla riduzione tout court del personale in esubero.
D’altronde, usando le parole di Matteo Ferraris, assessore alla Programmazione Finanziaria del Comune di Alessandria, “che lì [in ATM] ci sia uno squilibrio strutturale tra autisti e personale non operativo mi pare innegabile”. Come a dire: così non si può più andare avanti.
Eppure c’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui il trasporto pubblico era un tema su cui gli amministratori pubblici e le coscienze vive della città dibattevano con cognizione di causa (alcuni sì, altri meno). Non si entrava nel merito della gestione dell’azienda, e nemmeno nelle pieghe dei bilanci. Non si parlava di esuberi nel personale, ma si volava alto, ragionando su come armonizzare i mezzi pubblici e privati, per migliorare la città e la sua qualità della vita. C’era una progettualità, c’erano linee guida da tracciare, e soprattutto non si lavorava sull’emergenza.
Prendiamo, come esempio di una stagione irripetibile, il dibattito nato dal Piano Generale del Traffico Urbano, approvato nel 1996 dalla Giunta guidata dal sindaco di allora, Francesca Calvo. Un signore che allora non conoscevo, Bruno Soro, su un mensile alessandrino chiamato “la Città“, in un numero interamente dedicato al Piano già citato proponeva una cosa semplice e solo in parte provocatoria: ripristinare il tram ad Alessandria.
A fronte di un progetto, quello dell’Amministrazione Calvo, che si proponeva di riportare l’automobile in centro, rendendola “parte di uno scenario urbano più gradevole e vivibile”, il professor Soro così scriveva su “la Città”: “Una linea di tram capace di collegare il quartiere degli Orti con quello del Cristo passando attraverso il centro storico pedonalizzato […] consentirebbe di raggiungere il centro (e la Stazione) in pochi minuti a partire dalla periferia, senza bisogno di usare l’auto”.
Il piano era diabolico e geniale allo stesso tempo, e forse troppo a medio e lungo termine per la politica alessandrina: un tram per attraversare la città rapidamente e senza inquinare, dall’ex sanatorio Borsalino fino al Cristo, passando ovviamente dalla Stazione. Si dice anche (la fonte è fidata e autorevole) che persino l’estensore del “Piano Calvo”, un noto professionista milanese, avesse apprezzato la proposta del tram. Lui stesso l’avrebbe adottata volentieri, se il sindaco non gli avesse dato obiettivi diversi e non compatibili con il trasporto su rotaia.
E i soldi per costruire la linea, direte voi? Era il 1996, e in quegli anni l’Unione Europea finanziava molti progetti di mobilità urbana che andavano nella direzione del ripristino di tram e filobus, come a Bruxelles e, in tempi più recenti, a Bordeaux e a Bilbao.
Addirittura, negli archivi dell’ATM (ci siamo arrivati, finalmente) esisteva ed esiste ancora un piano targato Ansaldo per la reintroduzione del tram ad Alessandria. Lo avremmo avuto a costo zero, quel benedetto mezzo, e invece ce lo siamo lasciati sfuggire. Come tante altre cose, purtroppo.
Andrea Antonuccio