di Dario B. Caruso
Non è facile esprimere gli auguri a qualcuno per qualcosa senza citare l’oggetto dell’augurio stesso.
È fin troppo evidente.
La burocrazia imperante e l’ottusità vigente continuano a provarci: ci mettono alla prova, talvolta ci riescono talaltra no.
Pochi giorni fa la Commissione Europea per l’Uguaglianza promulga da Bruxelles il documento “#UnionofEquality – European Commission Guidelines for Inclusive Communication” in cui nella sostanza invita i cittadini europei a utilizzare determinati parole e atteggiamenti piuttosto che altri in occasione delle festività natalizie. Tutto ciò con la finalità di essere inclusivi.
Buona intenzione, pessima idea.
Come era facile aspettarsi c’è stata un’immediata sollevazione di scudi di chi (organi di comunicazione compresi) cavalca un’onda ad oggi prevalente in gran parte delle latitudini continentali.
Mi limito molto semplicemente a sottolineare l’errore di metodo.
Se ritengono di aprire il pensiero della gente cambiando le parole, sbagliano.
Non è questo il punto ed è lo stesso errore che commettiamo spesso ogni giorno, a scuola.
Continuerò a pensare che un nero sia uno sporco negro se sono razzista dentro, che un ebreo o un musulmano non hanno diritto di vivermi al fianco se sono integralista.
Vale naturalmente la condizione di reciprocità e di rispetto che non passano dalle parole bensì dall’esempio.
Il lato positivo di questa vicenda è che dopo poche ore lo stesso documento di cui sopra è stato ritirato.
Triste pensare a quanto lavoro inutile e quante parole siano stati gettati al vento per un nonnulla.
Il Canto di Natale di Dickens resterà il Canto di Natale e non diverrà il Canto della Festa.
E i fantasmi dei Natali passati, presenti e futuri ci perseguiteranno fino alla fine dei nostri giorni.
Ora scusate ma Mohamed (prima media) mi chiede via email se nella terza battuta di White Christmas il fa sia diesis o naturale.
Devo proprio andare, buon Natale a tutti!