Definirlo ‘alla finestra’ è improprio, anche se, al primo contatto telefonico, mette le mani avanti con un diplomatico “veramente sarei, come si dice? In stand by”, prima di acconsentire comunque ad una chiacchierata, che si rivela lunga e densa. Incontrare l’on. Mario Lovelli a Novi Ligure, in una mattina d’estate, significa accompagnarlo nel consueto rituale dei saluti ad un concittadino ogni pochi metri di tragitto: per i novesi, soprattutto i tanti di età non più verde, Lovelli è sempre ‘il sindaco’ (è stato primo cittadino dal 1995 al 2004, prima dell’esperienza romana come parlamentare del Pd, conclusasi qualche mese fa), anche se le qualifiche più ‘gettonate’ rimangono “buongiorno onorevole” o, semplicemente “ciao Mario”. Osservatore acuto del panorama politico nazionale e locale, Lovelli ama i toni pacati, e predilige la riflessione allo slogan. Ma non si sottrae a giudizi anche ‘secchi’ sui limiti e gli errori del suo partito, provando a capire come, oggi, il Paese e il nostro territorio possano trovare la strada per uscire davvero, e in maniera risolutiva, dallo ‘stallo’ politico ed economico in cui sono precipitati.
On. Lovelli, partiamo dall’attualità: l’Authority dei Trasporti si farà, e avrà sede a Torino come si ipotizza?
Mi auguro che si faccia, e che la sede sia a Torino. La decisione dovrebbe essere questione di giorni, e sono fiducioso, anche se ultimamente qualcuno ha avanzato anche l’ipotesi Napoli. Io feci per primo sul tema una proposta di legge, che fu poi recepita dal governo Monti. Anche se, intendiamoci, rispetto soltanto ad un paio di anni fa la situazione complessiva è radicalmente mutata, e creare strutture di questo tipo non può essere l’occasione per far lievitare i costi della macchina pubblica, neanche in maniera modesta. Da questo punto di vista, il comune di Torino si è già detto disposto a mettere a disposizione una sede, gratuitamente. Ma l’Authority serve, se tutti rimaniamo convinti della necessità di non mettere in discussione il ‘telaio’ complessivo delle opere strategiche definitive a livello europeo. Che significano, per il Piemonte, la Tav in Val di Susa e il ‘nostro’ Terzo Valico.
Su cui i punti interrogativi però sono sempre più numerosi, e di varia natura….
Gli enti locali mi sembra abbiano fatto finora un ottimo lavoro, chiedendo le necessarie garanzie, e una trasparenza che è condizione essenziale per la realizzazione dell’opera. Le risposte finora ci sono state solo a metà, e servono sicuramente ulteriori chiarimenti e approfondimenti. Ma poi, banalmente ma non troppo, c’è la questione dei finanziamenti, che riepilogo: finora sono arrivati i 500 milioni di euro del primo lotto, per interventi che sono già operativi. Il problema è che il secondo lotto prevedeva inizialmente risorse per oltre un miliardo di euro. Poi è stato stoppato, quindi parzialmente rifinanziato, ma per poco più di 800 milioni su base decennale: dal 2015 al 2024. Che invece è realisticamente il tempo entro il quale dovrebbe essere realizzata l’intera opera, perché abbia un senso. Su questo concordo con l’analisi di Antonello Brunetti, che pure è contrario all’opera senza se e senza ma. Comunque nei giorni scorsi Cota e Burlando sono stati ricevuti al Ministero, e il prossimo passo dovrebbe essere l’incontro tra il ministro e i sindaci piemontesi e liguri interessati dal progetto. Da lì, vedremo cosa accadrà.
Potrebbe essere lei il presidente dell’Autorithy, come si dice in giro?
Assolutamente no, facciamo pure chiarezza su questo tema. Esiste una terna di nomi, presentata dal Ministero, rispetto alla quale io ho già manifestato le mie remore, proprio perché, accanto a due figure più tecniche, è stata avanzata la candidatura di Mario Valducci, come me parlamentare fino a qualche mese fa, ed ex presidente della commissione Trasporti. Credo appunto che esista, per il recente decreto sulle incompatibilità, un ostacolo oggettivo, non essendo ancora trascorsi almeno 12 mesi dall’ultimo incarico politico di Valducci. Ma, soprattutto, rimango convinto che sarebbe opportuno che l’Authority non fosse sotto il controllo diretto della politica, ma organismo tecnico. Naturalmente entrambe le motivazioni, oltre al collega Valducci, mettono fuori gioco anche il sottoscritto.
Però, onorevole Lovelli, lei mica si sente un ex?
Questo no, assolutamente. Da quando sono uscito dal Parlamento non ho naturalmente più la necessità di essere a Roma tutte le settimane, ma sono attento a tutto quel che succede, e coinvolto dalla vita politica, e di partito. Non serve mica avere incarichi ufficiali, per fare politica con passione.
E allora ci aiuti ad interpretare quel che potrà succedere a livello nazionale, prima di tutto.
Va da sé che in queste ore un elemento assolutamente extra politico, ossia la sentenza della Cassazione su Silvio Berlusconi, potrebbe mutare completamente lo scenario. Non sappiamo quale sarà il verdetto, e neppure quali le possibili reazioni. Ma se il Pdl ha minacciato l’Aventino solo perchè la sentenza era stata fissata per fine luglio, figuriamoci cosa potrebbe succedere in caso di condanna. Comunque sia: il Pd non accetterebbe nessuna via d’uscita comoda, come un indulto generalizzato per tenere in vita il Governo. Oggi c’è un accordo politico, chiaro su alcuni punti programmatici, e più sfumato o addirittura incerto e da definire su altri, come Iva e Imu. E un appoggio trasparente e forte del Pd all’esecutivo Letta, che sempre più si sta dimostrando, nei fatti, l’unica soluzione possibile.
Nel senso che un esecutivo Pd – 5 Stelle sarebbe stato comunque impercorribile?
Beh, l’intervista di Casaleggio, sempre più leader politico del Movimento di Grillo, l’abbiamo sentita tutti. Loro si sentono alternativi e disarticolanti rispetto a tutto questo sistema, Pd compreso.
Ma che ne sarà, onorevole Lovelli, delle riforme tanto indispensabili per il Paese? Dobbiamo attenderci l’ennesimo rinvio?
Lo scenario è in evoluzione, e io francamente non credo che questa legislatura possa durare cinque anni. Anche se bisogna assolutamente evitare di tornare alle urne con l’attuale sistema elettorale (il cosiddetto Porcellum, ndr), che impedirebbe nuovamente agli elettori di scegliere i propri rappresentanti, e riprodurrebbe (a prescindere da chi possa aggiudicarsi il premio di maggioranza) l’attuale immobilismo paralizzante, con tre blocchi equivalenti e contrapposti tra loro.
Quali sono allora le priorità su cui lavorare senza perdere altro tempo?
Quelle note: 1)dimezzamento dei parlamentari 2) abolizione delle Province 3) riforma elettorale.
Dimezzamento dei parlamentari secondo me dovrebbe significare tenere una sola Camera legislativa, e avallare un Senato delle autonomie e delle regioni. La questione Province, su cui si sta lavorando anche in questi giorni, è delicata e complessa, e potrebbe portare con sé per molti territori, compreso il nostro, non pochi problemi. Ammesso però che il Governo riesca a procedere senza tentennamenti, dovrà sciogliere una serie di nodi su competenze, personale, risorse. Le Province sono state strangolate progressivamente, e nonostante questo hanno in questi anni continuato ad esercitare le loro funzioni, facendo i salti mortali. Poiché l’anno prossimo si dovrebbe votare per il rinnovo di molti consigli, se si vogliono percorrere strade diverse occorre far presto, anche sul piano legislativo e procedurale. E qualche ‘ingorgo’ si potrebbe creare, anche se spero di sbagliarmi. Infine, appunto, c’è la riforma elettorale, per chiudere il cerchio. Personalmente sono per un sistema con collegi uninominali a doppio turno. Ma, piuttosto che niente, meglio il ritorno al Mattarellum, con il 75% dei parlamentari eletti nei collegi, e il 25% affidato al proporzionale, a tutela anche delle minoranze. Comunque una riforma è indispensabile, per tornare a coinvolgere davvero gli elettori, i cittadini. Come si fa a far finta di niente, di fronte ad indici di credibilità di partiti e Parlamento che sono letteralmente crollati nel Paese reale?
Appunto, onorevole Lovelli: se vent’anni fa gli italiani, ai tempi di Tangentopoli, erano forse più furiosi di adesso, ma comunque credevano possibile un qualche cambiamento, oggi sappiamo bene che non è così. Come si ridà speranza ad un Paese vecchio e ripiegato su se stesso, che sembra non avere più voglia di investire sul futuro?
Le ricette sulla crisi, e sulle vie d’uscita, sono credo ormai note e ampiamente condivise da partiti, sindacati, associazioni imprenditoriali e sindacali. La responsabilità della politica è grande, ma gli italiani fiducia e voglia di fare devono recuperarla da soli, tutti insieme, nessuno escluso. Il via libera ai pagamenti da parte dello Stato dei propri enormi debiti verso il sistema degli enti locali, e quindi delle imprese, è stato un passo importante, a cui vada piena esecutività. Ma naturalmente spetta poi a tutti quanti, a partire dagli industriali e da chi fa impresa, tornare a crederci, a scommettere sul domani. La politica, da parte sua, deve rifondarsi davvero, e qui il Partito Democratico ha una responsabilità grande, e particolare.
Quale?
Siamo rimasti ad oggi, nel desolante panorama generale, l’unico vero partito organizzato del Paese. E per questo dobbiamo aprirci, e non ripiegarci su noi stessi, sui nostri eterni dibattiti e conflitti interni, fra bersaniani e renziani o chissà che altro. Dobbiamo fare il congresso al più presto, e deve un congresso di svolta: da cui uscire con una linea politica, un progetto di Paese, e anche un leader. Risolvendo anche questione tecniche interne, come il dibattito tra chi farà il segretario e chi il candidato premier. Per la gente mi pare scontato che le due figure coincidano, peraltro.
Nel 2014 si voterà anche per le amministrative in molti centri zona, tra cui Novi. Non è che, alla fine, Mario Lovelli si ricandiderà come sindaco della sua città?
No, lo escludo. Ma questo non significa che rinuncio ad esserci, e a fare la mia parte. Novi deve rimanere al centro sinistra, e dobbiamo presentarci agli elettori con un progetto di città, e di territorio in termini di distretto allargato, capace di interpretare le mutate esigenze di questi anni, di innovare. In tutto ciò, anche il nome del candidato sindaco non è secondario, tutt’altro. E non facciamone una questione di anagrafe, o di genere maschile o femminile. Ci vuole però una figura, questo sì, che sia davvero un segnale di cambiamento, di apertura del centro sinistra verso la città, e non di chiusura in difesa. Facciamo pure le primarie, e facciamo in modo che siano vere e partecipate. Magari a gennaio, però: in autunno ci attendono già i congressi locali e nazionale. Non metterei troppa carne al fuoco.
Ettore Grassano