Fare impresa, nonostante tutto [Controvento]

Imprese di famigliadi Ettore Grassano.

La tentazione di farsi travolgere dal pessimismo a volte viene, e gli elementi a supporto della ‘teoria della catastrofe’ non mancano mai, a livello locale come nazionale.

Ma dai primi di marzo ad oggi, trasformandoci in magazine di approfondimento, abbiamo potuto ‘toccare con mano’, e raccontare, tante esperienze imprenditoriali serie, e sane. Certo, a ben guardare si tratta di casi sparpagliati sul vasto territorio provinciale, mentre nel capoluogo la crisi sta ‘picchiando’ più duro che altrove, anche per via di quella vocazione da economia pubblica e basata sui servizi che di recente è stata sottolineata anche dal sindaco di Alessandria.

Due, però, ci sembrano gli elementi ‘forti’ emersi in questi mesi, o meglio le tipologie di aziende che per fortuna non solo reggono all’urto della crisi, ma in non pochi casi progettano un futuro di crescita: le cosiddette imprese di famiglia, e le cooperative.

Sul primo fronte, è vero che ci sono stati di recente, dal casalese al novese, alcuni casi di vendita di marchi importanti, ma si tratta comunque di scelte individuali, legate al percorso e alle necessità di specifiche famiglie di imprenditori. Basta guardare l’elenco delle nostre interviste degli ultimi 4-5 mesi, nella sezione economia, per capire che, ancor oggi, il tessuto imprenditoriale locale (ed è poi così in tutto il Paese) è assolutamente legato al ‘family business’, come lo chiamano gli anglosassoni, ossia alle imprese create, e gestite nel tempo, da un singolo imprenditore, o famiglia di imprenditori. Che in molti casi ‘soffrono’ e fanno fatica, ma resistono. E in tanti altri (soprattutto quando si sono orientati per tempo in maniera significativa su mercati esteri) riescono anche a crescere, nonostante il contesto.

Poi ci sono le cooperative: comparto che è una ‘gamba’ importante della nostra economia, e che in provincia occupa complessivamente almeno 10mila addetti, e non va mai confuso né con il volontariato, né con le sole attività socio assistenziali. Il comparto dei servizi alla persona (dipendente a doppio filo dal committente pubblico: da cui la sofferenza di questi anni) è una ‘fetta’ significativa del mondo cooperativo, ma non la sola. Pensiamo alla logistica, all’agricoltura, all’edilizia: tutti segmenti di mercato che vedono tra i loro protagonisti in provincia, non pochi player del mondo cooperativo.

Ma sapete qual è il trait d’union che davvero caratterizza le imprese ‘sane’ del territorio? L’entusiasmo con cui giorno per giorno affrontano le difficoltà, e le risolvono gettando il cuore oltre l’ostacolo, nonostante tutto. Nonostante, ad esempio, un problema generalizzato (ma tutto italiano: chi lavora con l’estero, non sa praticamente cosa sia) che si chiama ritardi nei pagamenti. E nonostante un sistema bancario che i soldi, quasi sempre, li presta a chi già li ha, senza prendersi il minimo rischio al fianco dell’impresa. Addirittura c’è chi, imprenditore benestante, mi ha raccontato di avere ricevuto dalla propria banca la proposta di un prestito ‘fittizio’, da reinvestire in obbligazioni dello stesso istituto di credito, guadagnandoci qualcosina, senza rischi. “Li prestiamo a lei, perchè già ne ha tanti, e siamo sicuri di averli indietro. Così la Bce è contenta”. Ecco: riuscire a fare gli imprenditori in un Paese con un simile sistema bancario (e con una classe politica così parolaia ed assente) è davvero un percorso da mission impossible. Eppure c’è chi ancora ci riesce: anche e soprattutto grazie, ricordiamolo, alle ‘maestranze’, ossia ai lavoratori che, dipendenti o soci che siano, rappresentano il vero valore aggiunto delle nostre piccole e medie imprese.

Ps: l’imprenditore a cui la banca ha proposto il citato ‘truschino’ ha risposto: “no grazie, faccio impresa e non speculazione finanziaria”. Onore al merito. Chissà se, alla fine, quei soldi li hanno prestati a qualcuno a cui servivano davvero…