di Dario B. Caruso
Con mia moglie stiamo rivedendo la serie televisiva “Downton Abbey”.
È indiscutibilmente un capolavoro, narra le vicende di una famiglia dell’aristocrazia inglese tra gli anni che precedono la Prima Guerra mondiale e il 1925. Sullo sfondo si intrecciano con altrettanta dovizia di particolari le storie dei domestici del palazzo.
In uno degli episodi Daisy, la giovane sguattera si lamenta con la signora Patmore, l’anziana cuoca che dirige il personale di cucina con piglio militaresco: non le riconosce l’impegno profuso nel tempo e la crescita professionale, meriterebbe – afferma – un aumento di stipendio e un avanzamento di carriera.
Si corre sempre il rischio di commettere degli errori con gli allievi.
I casi sono principalmente due.
Vengono considerati sempre pivelli che necessitano di uno sguardo vigile affinché non falliscano inutilmente oppure vengono spronati ad andare allo sbaraglio con le giuste attrezzature ma con l’idea che il fallimento sia possibile.
In ciascun caso si verrà giustamente tacciati di aver sbagliato, di fronte (come ha fatto Daisy) oppure alle spalle (come è più comodo).
Sarà sempre una lamentazione.
L’allievo però è come il cliente: ha sempre ragione. Dunque non si può pretendere la riconoscenza, è indispensabile meritarla.
Trovare il giusto equilibrio tra lasciar andare e trattenere, questa è la chiave.
Il problema è che ognuno di noi ha una serratura diversa.