Fenomenologia dell’Outlet. Ovvero, come spremere sangue da una rapa facendo finta di essere Umberto Eco

outlet3Non ci sono parole sufficienti per descrivere un posto come l’Outlet, sia esso di Serravalle o di qualsiasi altra località. L’Outlet, il non-luogo, il falsamente ricco che ti illude di esserlo altrettanto, non può essere spiegato se non da poderosi saggi di novelli umbertiechi, smaniosi di ripercorrerne le gesta e la carriera.

Per chi, come me, all’Outlet ci va una volta all’anno per rinfrescare il guardaroba, l’unica salvezza per non scrivere scemenze mascherate da profondità è raccontare l’esperienza nuda e cruda, e lasciare al lettore il gusto di trarne le più adeguate conclusioni.

Alessandria-Serravalle: solo una trentina di chilometri (il navigatore dice 30,7) mi dividono dall’agognata meta. Fa un po’ impressione, in prossimità dell’arrivo, vedere la Barbellotta lucidata a nuovo e sgombra(ta) da presenza estranee. Qui un tempo alcuni venivano a fare i famigerati “puttan-tour”, per andare a vedere le ragazze a noleggio e ridere tristemente con gli amici. Era il luogo della trasgressione, del sesso a pagamento, dei primi viados e dei “trentadibboccaeccinquantallammore”. Alessandria città, a quei tempi, offriva poco.

Al rotondone con le frecce penso già di trovare un sacco di gente. Ci sono i saldi, e i furbastri che snobbano gli storici esercizi del centro cittadino saranno tutti qui a fare acquisti nell’Eden del consumismo, a pochi passi da casa. Entro nel parcheggio e con un certo fastidio trovo solo poche auto. Perdo un po’ di tempo a scegliere il posto giusto (sole/ombra, vicino/lontano, destra/sinistra), ma è tutta pretattica. Devo frenare l’irruenza del compratore compulsivo, che mi sta invadendo inesorabilmente.

outlet2Qualche scalino, ed eccomi arrivato. E’ mattina, l’aria è tersa e respiro a pieni polmoni. Le cose che a casa mi ero segnato come indispensabili, qui non me le ricordo più. Ora voglio tutto. Tutto trasuda convenienza, a partire dai cartellini dei prezzi: si va da “prezzo normale” a “prezzo outlet”, e da “prezzo outlet” a “prezzo saldi”. Siamo al quasi-miracolo: costa tutto meno di niente, e pazienza se è di una misura in più o in meno… conviene e basta.

Già sul punto dell’abbattimento, reale o fittizio, dei prezzi, gli umbertiechi avrebbero buon materiale per le loro speculazioni sociologiche. Io no, e grazie al buon senso di chi mi accompagna decido che prima di spolverare la carta di credito vale la pena farsi un giretto e dare un’occhiata alle vetrine.

Subito mi accorgo che in due negozi ci sono movimenti strani. Mi avvicino al primo, e vedo che all’ingresso c’è addirittura il “buttadentro”, uno che sta alla porta e tiene a bada le persone in fila, facendole entrare un po’ per volta. Ne escono due e ne entrano altrettante, questa è la logica. Il buttadentro evita la calca, la gente che si spintona e si graffia per prendere il capo scontatissimo. Ragioni di pubblica sicurezza impongono la presenza di questa figura, evidentemente. Mi avvicino alla vetrina e guardo: all’interno del negozio ci sono si è no otto persone, quando ce ne starebbero comodamente il doppio, o forse anche il triplo. Ma allora… allora è solo una tecnica di marketing, perché la folla è attratta dalla folla.

Mi giro di scatto, e vedo un altro store che usa la stessa tecnica. Quattro gatti all’interno, una ventina fuori. Mi chiedo perché non sia mai venuto Umberto Eco in persona a osservare il fenomeno e a scriverci sopra un bel tomazzo per Il Mulino. E’ uno spettacolo tanto assurdo quanto reale, tangibile e inspiegabile. Il buttadentro si accorge che guardo in vetrina e mi fulmina con lo sguardo: guai a me se parlo.

I miei acquisti, alcuni programmati, altri no, riesco a farli entro l’ora di pranzo. In generale, vedo poca gente, l’atmosfera è così così e la lingua più parlata è il russo. Avverto un certo scoramento tra le maestranze, al punto che in certi casi non mi sento trattato da “cliente-re” e allora esco e cambio fornitore. L’outlet mi appare come un gigantesco Luna Park, con tante attrazioni molto simili l’una all’altra. Non c’è che l’imbarazzo della scelta, in fondo.

Mangio qualcosa al fast food, contemplando i miei acquisti convenientissimi e favolosi (se non lo fossero, sarei un bel coglione). Ad Alessandria, penso, con quella cifra non mi sarei comprato nemmeno un vestito di media fattura. Qui invece ho comprato marche eccellenti, a quattro soldi. Continuo a ripetermelo, mentre un buttadentro di un altro blasonato negozio va avanti e indietro per cercare di fare anche lui il giochino della fila di fuori. Ma non c’è nessuno, né fuori né dentro, e il suo sguardo mesto è l’ultima immagine che mi rimane negli occhi prima di riprendere la via di casa.

Non è tutto oro quel che luccica, nel Paese delle Meraviglie. E la prossima volta, caro Umberto, all’Outlet ci vieni anche tu. Così me lo spieghi.

Andrea Antonuccio