In perfetta concomitanza con l’imminente uscita del film Eppideis di Matteo Andreolli, interpreti Gianmarco Tognazzi e Rosaria Russo, la Newton Compton manda in libreria una nuova extended version de L’estate nera di Remo Guerrini, grandioso punto di riferimento letterario per le molte estati della paura che da più di vent’anni inondano la scena del noir italiano. Se non cogliete i riferimenti impliciti, eccovi i misteri svelati.
Ovvero, che ci azzecca un film ambientato a Oria (Puglia) con la storia raccontata ne L’estate nera, che si dipana nel Monferrato tra Altavilla e Vignale? Il fatto è che il Piemonte ha perso la guerra ed è un vero peccato. Perché, nella primitiva ipotesi, il film lo si doveva girare proprio nei luoghi concepiti da Remo (dove peraltro l’amico di sempre vive e lavora), con un cast stellare che prevedeva Laura Chiatti e Luca Zingaretti.
La notizia la lanciò “Il Piccolo” di Alessandria nel febbraio del 2012 e pareva cosa fatta con la Film Commission già opportunamente allertata. Purtroppo le cose vanno come vanno e, se Altavilla diventa Oria, non trattasi più di gotico monferrino e noi che siamo molto campanilisti un po’ ce ne rammarichiamo. Anche perché L’estate nera, per la faccenda del nome “Altavilla”, è il “padre putativo” della nostra mitologia personale di Bassavilla.
Ma procediamo. Il libro in prima edizione uscì nel ’92 e, sotto il buon auspicio di King e Lynch, lanciava una “onda lunga” di stagioni della paura sotto il solleone, da Baldini ad Ammaniti, passando per Montebuio. Perché Remo, da attento osservatore della realtà e di quel che ci sta “oltre”, ha sempre saputo giocare d’anticipo.
L’estate nera racconta una grandiosa vicenda di dannazione e crudeltà, con bambini che incontrano il Male anzitempo e con adulti immemori. Hanno nomi all’apparenza improbabili: Canavesio, Massimino, Attila, Saturnina, Evangelina, e un giorno decidono di uccidere il vecchio barbone del luogo. Adolescenti perversi polimorfi con quell’età pericolosa che solo chi è nato nel ’50 come me può capire, ognuno con le sue buone ragioni, ovviamente non condivisibili, ma tutti pervasi dall’identico, inspiegabile demone omicida. Dopo un violento temporale, il barbone viene ritrovato morto in fondo a un pozzo, liberando in qualche modo i ragazzini dalla turpe incombenza che li opprime. Sembra proprio un incidente e il poveraccio viene sepolto in fretta e alla meglio. Ma trent’anni dopo, durante i lavori di scavo nel cimitero di Altavilla, riaffiora il cranio del barbone con un foro sulla nuca e una maligna macchina del tempo si rimette in moto, riportando i ragazzi di un tempo ad Altavilla per una angosciosa resa dei conti.
Beh, qui giunti, conviensi tacere. Il libro è a vostra disposizione in tutte le librerie. Quel che preme in questo contesto è sottolineare quanto Remo ha più volte scritto e dichiarato al proposito, ovvero quanto male e quanta paura – il nero in una parola e in un cromatismo – riescono a scaturire, pur sublimati in forma artistica, dal verde e dal sole delle nostre colline. Colline e pianure che “hanno gli occhi”: quanto noir italiano ancora ci marcia. Laddove regnano noia, ordine e ipocrita tranquillità, si consumano delitti silenziosi, è storia vecchia.
Ma nel regno di Bassavilla (e di Altavilla) ecco un elemento sfuggente in più che solo autentiche sensibilità artistiche sembrano in grado di cogliere: quell’identica, misteriosa, attitudine al male che fuoriesce dagli universi immaginari di Twin Peaks e di Castle Rock e che si riflette in una provincia ubertosa e collinare, immobilizzata in un finto spot televisivo, dove si finge, dove non ci si ricorda, dove si recita. Un malessere che Pupi Avati ha definito molti anni fa da par suo “sindrome del sole e del silenzio”, in grado di colpire indifferentemente spiriti malati e artistici e capace di spingere tanto a delitti inspiegabili da dimenticare subito quanto a suggerire storie per niente catartiche. Killer e scrittori animati dallo stesso genius loci. Metafora assoluta sulla banalità multiforme del Male.
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