L’Aps me.dea, Centri Antiviolenza EMMA Onlus e D.i.Re Donne in Rete contro la violenza hanno appreso con preoccupazione la decisione del Consiglio Comunale di Alessandria di sostenere le linee di indirizzo della Regione Piemonte sull’aborto farmacologico, attraverso l’approvazione dell’ordine del giorno firmato da Emanuele Locci e Piero Castellano, presidenti di Alessandria Migliore e Fratelli d’Italia.
A ottobre 2020 la giunta regionale aveva emanato una circolare che obbligava al ricovero ospedaliero le donne che vorranno sottoporsi ad aborto farmacologico tramite la pillola Ru846.
Già allora la posizione dei Centri Antiviolenza piemontesi appartenenti alla Rete Nazionale D.i.Re era stata netta, con la denuncia che il provvedimento avrebbe limitato fortemente l’accesso alla RU486, riservandolo solo agli ospedali e non ai consultori.
Ancora prima, nel 2018, era stata presentata in Consiglio Comunale la mozione Locci-Trifoglio che proponeva l’adozione di una serie di misure finalizzate alla prevenzione dell’aborto, tra cui l’ingresso dei movimenti per la vita nelle strutture dove si pratica l’interruzione di gravidanza. Grazie a una forte presa di posizione delle associazioni femministe alessandrine e della minoranza in Consiglio Comunale la mozione venne ritirata; oggi assistiamo con la medesima indignazione di allora un nuovo tentativo di minare l’autodeterminazione delle donne.
La circolare regionale, tra l’altro, è in contrasto con la disposizione del Consiglio Superiore di Sanità che lo scorso 4 agosto ha espresso parere favorevole al ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico fino a 9 settimane compiute di età gestazionale. Questo deve avvenire nelle strutture ambulatoriali pubbliche attrezzate, nei consultori oppure in regime di day hospital.
“L’autodeterminazione sul proprio corpo è il cuore della libertà di scelta delle donne e dell’uguaglianza di diritti sancita dalla Costituzione, nel riconoscimento della differenza di genere – afferma Antonella Veltri, presidente di D.i.Re. Nessun atto politico può minare questo diritto, senza che la società civile, i centri antiviolenza, le associazioni di donne alzino la loro voce. Quello che sta accadendo in Piemonte rischia di succedere altrove, ma D.i.Re farà la sua parte per impedirlo”.
“Ribadiamo la totale validità della legge 194 e ne chiediamo l’applicazione nel rispetto dell’inalienabile diritto all’autodeterminazione e alla libera scelta delle donne – dichiara Sarah Sclauzero, presidente di me.dea. Chiediamo anche che vengano implementati i servizi che già esistono e funzionano, serve implementare i consultori e non oberare gli ospedali, dove operano anche molti obiettori di coscienza. Servono uno Stato che si apra sempre di più, che dia garanzie alle donne, già duramente colpite socialmente ed economicamente dalla crisi causata dalla pandemia, e amministrazioni locali che ci aiutino a contrastare la cultura patriarcale, anziché alimentarla”.
“Troviamo gravissimo che l’aborto venga giudicato come una pratica sociale, non più riconducibile a una scelta individuale della donna – afferma Anna Maria Zucca, presidente dei centri antiviolenza EMMA di Torino e consigliera di D.i.Re per il Piemonte. Considerarlo un atto con delle ripercussioni per la collettività, così come descritto nell’ordine del giorno alessandrino, significa affrontare la questione da un punto di vista ideologico. Ci impegneremo per contrastare questa visione moralista della questione e portare al centro del dibattito regionale la libertà e la tutela delle donne”.