L’altra sera due amici mi facevano l’elenco di aziende locali, più o meno note (qualcuna addirittura simbolica) che stanno tirando giù la claire, o già lo hanno fatto. Concordato preventivo, fallimento, o semplice cessata atttivà. Un’ecatombe, prevedibile da tempo, ma che in tanti “misurano” soltanto ora, sulla propria pelle o su quella del vicino. Eh sì, perché un conto sono i proclami dei politici, o i dati di Unioncamere: per la gente comune slogan astratti i primi (che fine ha fatto la fine del tunnel di cui parlava Monti, il salvatore della patria di fine 2011? E occhio agli slogan di Letta: stessa scuola, stessi sponsor), semplici statistiche i secondi.
Ma, quando a fallire è l’aziendina del tuo paese, o a chiudere i battenti sono i negozi dei tuoi amici, mentre persino i dipendenti parastatali vincitori del mitico ‘concorso’ a vita (autentico dogma su cui è cresciuta l’Italietta dal dopoguerra in poi) ci rimettono il buono pasto, e sentono scricchiolare il posto fisso, comincia a risuonare un’altra musica.
Per nulla incoraggiante che i media di regime (quasi tutti quelli tradizionali: l’on line per fortuna è più polifonico) ci raccontino una ripresa che non c’è, e enfatizzino aiuti alle imprese per ora assolutamente astratti. Se poi accanto a ciò ci mettiamo i provvedimenti “punitivi” del Governo, che in autunno si appresta a tassare le prime case (esentati forse i micro appartamenti!) dopo aver spergiurato che non lo avrebbe fatto, e a raddoppiare la nuova Tares entro Natale, il quadro è raccapricciante. Aggiungiamoci che chi di noi ha avuto la lungimiranza di mettere da parte un po’ di risparmi si aspetta da un momento all’altro una patrimoniale più o meno mascherata, ma resta immobile nonostante tutto, perché comprare case e lasciarle vuote è peggio, e i soldi all’estero, checché se ne dica, non tutti sono in grado di portarli. Altrimenti sapete dirmi quanto risparmio privato ci sarebbe ancora in Italia? Pochino, eh?
Ma anche in questo scenario complessivo così preoccupante, c’è ancora chi cresce, e investe. L’approfondimento di oggi, dedicato all’Interporto di Rivalta, è un esempio da analizzare con attenzione. Anche se, a ben guardare, il presupposto è che, anche lì, parlamo di un’azienda ‘anticiclica’ rispetto alla crisi, ma ormai sotto il totale controllo di un gruppo straniero. Lungimirante, magari. Ma un’altra bella metafora della situazione italiana. Nei prossimi giorni, e settimane, ne racconteremo altre.
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