Ogni tanto colgo l’occasione.
Ogni volta che vado a Roma approfitto per ritagliare uno/tre giorni di più per vedere cose nuove, conoscere strade mai attraversate, osservare angoli mai osservati, cenare in trattorie ancora da scoprire, entrare in una nuova chiesa, arrampicare su una scalinata non ancora conquistata, fotografare una colonna vergine al mio obiettivo, uno stucco, un marmo, un muro, una finestra, un portone, un mondo.
Roma è la capitale.
Ed è il simbolo del nostro paese.
Di quanto siamo un grande paese con un passato di cui vantarsi, un presente su cui riflettere, un futuro a cui pensare.
Roma è l’esempio di un’Italia che arriva dalla direzione giusta e va nella direzione sbagliata.
Non ci vuole un ingegno particolare per capire che a Roma si può vivere di cultura mettendo da parte l’arroganza e la prosopopea.
Un tassista gentilissimo, un romano sulla quarantina, mi dice: “Ha sentito che la settimana scorsa hanno chiuso il Colosseo?! Ma le pare possibile?! Sa quel giorno quanti turisti ho portato a Termini o a Fiumicino con le lacrime agli occhi?!”
E ancora: “Un gruppo di imprenditori statunitensi ha offerto una cifra pari al doppio degli introiti di un intero anno per acquistarlo… Cosa le fa pensare?!”
Ora sono in albergo.
Scrivo queste poche righe forte della mia flessibilità e penso.
Mi vengono alla mente alcune considerazioni.
Stonehenge, agosto 1991.
Dalla sera prima, assieme alla birra di un pub di campagna assaporavo già l’atmosfera che avrei respirato la mattina del giorno dopo.
E così fu.
Mi sentivo druido, in mezzo a quelle pietre antiche, forte di quella debolezza che ci fa sentire piccoli di fronte ai misteri del passato.
Parigi, gennaio 1995.
Non vedevo l’ora di visitare il Louvre.
Coda, biglietteria, ingresso.
Una delle prime tappe fu l’inevitabile Gioconda.
Fra una folla di turisti di ogni colore – come me – lievemente eccitati e confusi, vidi in lontananza quel piccolo rettangolo.
M’illuminai d’immenso.
Roma, luglio 2013.
Ho lasciato al tassista 2 euro per un caffè.
Magari buttandolo giù ci laverà le lacrime di qualche casalinga canadese o operaio russo o mamma neozelandese che del Colosseo porterà a casa soltanto una cartolina.