Melissa, Andrea Carlo Cappi e la maschera [Il Superstite 146]

arona-2di Danilo Arona.

Siccome in tante, troppe, occasioni scrivo di getto, dimenticandomi da lì a poco quel che ho digitato, mi ha colpito come se lo leggessi per la prima volta un vecchio post (Novembre 2011) su Facebook piazzato all’indomani di una Halloween Night di Dolceacqua. Lo ribatto e poi tento di abbozzare una parvenza di ragionamento:

“Halloween a Dolceacqua è un’esperienza oltre i Limiti. Tra Michael Myers, il Corvo, Jason, streghette e stregoni, ha fatto capolino persino Melissa, giubbotto rosso, jeans, bionda e cerone da morta. Le ho chiesto il nome e mi ha risposto: «Melissa, piacere». Ho detto: «Capperi, sei pure vestita come lei», e quella mi ha colpito sotto la cintura: «Guardi che non sono affatto mascherata»… Sarà stato un effetto del Rossese.”

E allora? Ci vedo almeno un paio di alternative. O mi sono inventato io la sciocchezzuola per scrivere il post figo (perché è sport nazionale praticato nel social network), oppure trattasi di episodio realmente accaduto, così simpaticamente connesso all’atmosfera di Halloween, da doverlo citare.
Procediamo. Giusto per i pochissimi che non lo sanno ancora, nella notte di Halloween i ragazzi si mascherano con look dark e horror e si fa Carnevale. A Dolceacqua, stupendo borgo dell’entroterra Ligure e regno della gente di Autunno Nero, il tutto viene amplificato ai massimi sistemi. Ci sono persino dei pensionati che si mascherano. Le maschere predilette sono ovviamente quelle del mito cinematografico e le più gettonate le menziono all’inizio del post. Ma puoi trovare anche svisate sul tema e reinterpretazioni da capire.

L’eventualità di scoprirci anche una “Melissa” si situa in questa potenzialità di repertorio. Però Melissa, fantasma di una ragazza investita in autostrada in una notte di dicembre del 1999, non è così famosa e non ha quella grandezza mediatica al pari di Jason e del Corvo. E’ un personaggio che ho fatto “mio” e che ho usato in diversi lavori. Allora le possibilità interpretative del brevissimo interludio con la ragazza di Dolceacqua diventano almeno tre. Partiamo dalla prima: me lo sono inventato e ve la sto menando per mettere in piedi una puntata della rubrica. Ma no, che idiozia sarebbe? E poi, inventare per inventare, mi sarei concesso qualcosa di molto eclatante. Due: la ragazza è molto spiritosa nonché sveglia e cita, alla sua maniera, il famoso finale, immortalato anche al cinema, de La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe, giusto per tirarsela con un perfetto sconosciuto non mascherato che potrebbe essere suo nonno. Tre (eventualità alquanto interessante): la ragazza si chiama veramente Melissa e tutto il dialogo che ne segue è frutto di un minuscolo delirio interpretativo da parte mia. Ovvero, io che la accuso di essere agghindata “come lei” (al momento della morte) e la ragazza che risponde, giustamente (perché sul serio le cose stanno così), di non essere affatto mascherata. Ed è vero, accipicchia, giubetto rosso, jeans e un trucco vagamente dark non costituiscono di per sé una maschera di Halloween.

E dunque? Tento di arrivarci. Un paio di sere fa ho partecipato a una delle tante, bellissime,Melissa serate di Borderfiction. Milano, Hotel Admiral, congrega di scrittori assolutamente fantastica (Altieri, Cappi, Pinketts, Spasaro, Di Marino, Ricciardiello, Pizzo, Catalano, Narciso…) e lì, nel regno dei “bondiani”, Edo Rosati e io presentavamo l’ultima scorreria di Melissa nel regno del Reale, ovvero Protocollo Stonehenge, e-book edito da Mezzotints. Come sempre capita a questi eventi, partono dibattiti anche surreali sulla paura più grande e autentica che uno scrittore possa provare sulla propria pelle, tentando poi di trasmetterla ai suoi lettori. Andrea Carlo Cappi ne fa geniale sintesi citando, appunto, il finale de La maschera della morte rossa, laddove il principe Prospero scopre che sotto la maschera dell’intruso non invitato alla sua tragica festa (mentre il mondo all’esterno è devastato dalla pestilenza) non esiste alcuna forma tangibile. Decodificando, la maschera non è affatto tale.

Allora che ci raccontano in buona sostanza Poe, l’amico Cappi e l’insignificante episodio di Dolceacqua? Che forse – il dubbio ha sempre diritto di cittadinanza – la paura più grande per tutti è il guardare in faccia la realtà, soprattutto quanto cade di colpo la maschera/filtro che un complesso sistema di ingannevoli convenzioni le ha modellato attorno. Guardarla, la realtà e, mannaggia, scoprirne il vero, insopportabile volto. Non voglio spingermi oltre, ma a Dolceacqua, secondo me, è successa una piccola cosa che sta a suo modo tra la sincronicità di Jung e la fisica quantistica: quella ragazza si chiamava sul serio Melissa perciò era Melissa. Tutto il resto è maschera.