di Dario B. Caruso
Si avvicina a grandi passi la riapertura delle scuole, a breve incomincerà il nuovo anno scolastico.
Rientreremo secondo regole comuni, con vincoli di prevenzione precisi, con accorgimenti individuali indispensabili.
Ciò sarà fatto per ciascuno e per tutti.
È il mistero oggi così vituperato di quella che si chiama democrazia, una parola che il secolo scorso ha fatto vibrare i cuori dei nostri nonni e che oggi fa tremare il cerebro di decerebrati.
La necessità di riprendere la didattica tradizionale – magari integrandola con le nuove tecnologie – è una sfida che ci appartiene, appartiene al mondo sano dell’insegnamento, appartiene al giusto ruolo della scuola che non è parcheggio bensì luogo di crescita, cultura esperienza ed educazione.
Per la prima volta dopo alcuni decenni il pallino del benessere sanitario scolastico – e quindi della società intera – passa nelle mani delle famiglie, dei genitori.
Saranno loro a doversi occupare dei figli, bambini e ragazzi, affinché si rechino a scuola senza sintomi (nausea, mal di testa, debolezza, diarrea) e sfebbrati.
È un segno di condivisione e corresponsabilità.
Quanti di noi insegnanti hanno visto entrare alle 7,52 di un lunedì qualunque un pargolo per accompagnarlo alle ore 7,58 (rosso come un biscione) in bidelleria?
“Trentotto e due…. ah… l’avevo anche ieri sera…!”
Per tacere di colleghi, stakanovisti e untori maledetti, che ti parlano all’orecchio in sala insegnanti confessandoti di essere vittime di un’influenza pestifera; lo fanno sperando di passarti il virus al fine di liberarsene, come se i corpi fossero vasi comunicanti (tra l’altro insegnano con lo stesso principio – dei vasi comunicanti intendo – e quindi con risultati quanto mai deludenti).
Ebbene, non potrà più accadere nulla di tutto ciò.
Se è vero che il ruolo delle famiglie è quello di collaborare con l’istituzione scolastica, è il momento giusto per dimostrarlo.
Costerà fatica ma come diceva Gianni Rodari “è difficile fare le cose difficili”.
Proviamoci insieme.