di Giancarlo Patrucco.
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Nessuno potrà negare che in questi ultimi vent’anni la sinistra ha mancato ad uno dei suoi compiti storici: quello di corrispondere alle istanze di cambiamento del Paese. Da che mondo è mondo e storia è storia, la destra ha sempre impersonato (e difeso) i valori della tradizione, della conservazione, degli assetti tradizionali e consolidati. Anche quando si è trattato di sommovimenti di destra, e ce ne sono stati, quel blocco politico economico sociale non ha mai tradito la sua mission: la destra conserva, restaura, non fa la rivoluzione.
So che a questo punto i lettori più critici potrebbero sollevare molte obiezioni. Sto parlando di sinistra radicale o riformista? Di destra reazionaria o moderata? Di mondo occidentale o di mondo e basta? Valuto la rivoluzione russa come una liberazione o come un regime? E come la metto con la Repubblica di Weimar, il primo fascismo, Cuba, i rivolgimenti sudamericani?
Non ho lo spazio, né il tempo e l’obiettivo di allargare, in questa sede, tale discorso. Quindi, delimiterò il campo di ciò che dirò al qui e ora. In altre parole, mi riferirò esclusivamente a quel blocco politico che nell’ultimo ventennio è andato in Italia sotto il nome di centrosinistra, via via esprimendosi in coalizioni più o meno eterogenee, ma riconoscibili per un comune approccio al cambiamento di tipo riformista, con l’intento dichiarato di tutelare la parte più debole della nazione e ripristinare condizioni di eguaglianza, di solidarietà, di diritti universali che le trasformazioni capitalistiche globali stanno sempre più aggredendo alle radici. Un mondo aperto solo ai soldi, ai traffici, ai potentati organizzati, ma sempre più chiuso a tutti gli altri. Un mondo dove in pochi secondi sposti denari, uomini, macchinari, imprese, mentre c’è gente che non riesce a spostare di un centimetro il proprio destino di baraccato, cassintegrato, sottopagato, sfruttato, senza lavoro.
Ecco, negli ultimi vent’anni questa sinistra è venuta meno al suo compito, alla sua responsabilità storica, in parte per le forze che le si sono opposte, ma in parte anche per la sua insipienza, la sua irrisolutezza, la sua deriva verso una difesa di maniera che restava irretita dal richiamo dello status quo ed esposta alle lusinghe dell’omologazione. Parte di un banchetto al quale la sua classe dirigente era chiamata a partecipare, col patto sottinteso di non badare troppo a chi stava sotto il tavolo o nella parte bassa della tavolata.
Ora, la storia offre alla sinistra un’altra opportunità. Tutto ciò che vediamo intorno, tutto ciò che sentiamo dire ce lo prospetta. Le politiche della destra sono fallite, sia nella versione gaudente di Berlusconi, sia in quella compassata di Monti. Il primo ha campato negando il buco, il secondo ha provato a tamponarlo. Ma, entrambi, badando bene a non sconvolgere gli assetti di potere e di riferimento. Lo abbiamo visto bene in questi ultimi due anni. La riforma delle pensioni è stata fatta in tre giorni, il blocco di pensioni e salari con un tratto di penna, la mano libera sulle addizionali Irpef in un amen, i tagli a scuola sanità e cultura in ancor meno. Però, quando si è trattato di aggredire le categorie protette, le professioni, le corporazioni, le caste, allora si è discusso. E discusso e discusso. E’ di questi giorni la notizia che la Commissione Europea sollecita il Governo a recuperare le quote latte evase. Quando? Se ricordo bene, a fine secolo scorso. Quanto? Oltre il miliardo di euro. E’ così che si riequilibrano le situazioni? E’ così che si ristabilisce la fiducia? E’ così che si fa giustizia? E gli esodati che diranno?
Ha fallito anche il Movimento 5 Stelle. Dopo aver incamerato il voto di protesta e di radicale rinnovamento, Grillo non ha saputo indirizzarlo, guidarlo, utilizzarlo come grimaldello per far saltare vecchi, superati, ma proprio per questo irriducibili, equilibri. Gli è rimasta la protesta, ma chi l’ha votato dà evidenti segni di disillusione nella possibilità che essa riesca a tradursi in una credibile proposta.
Sul terreno, di proposta ne è rimasta una, quella del governo di larghe intese, ma basta leggere il quadro generale per capire quanto fiato corto abbia. Basta mettere in fila le urgenze, dalla disoccupazione giovanile a quella femminile, dalla desertificazione delle imprese alla crisi che attanaglia il commercio, riduce i consumi, indebita le famiglie, consuma il PIL, per arrivare a quantificare le risorse di cui avremmo necessità per dare al Paese la scossa di cui ha bisogno: tra i 70 e i 100 miliardi almeno.
Ebbene, questo Governo non riesce a trovarne nemmeno 4. Non dico per diminuire, badate bene, ma per non alzare l’aliquota IVA del 21%.
Il motivo è evidente. Potrà mai consentire la destra una seria lotta all’evasione fiscale? Potrà mai consentire la destra un serio riequilibrio della tassazione tra reddito da lavoro e rendite da capitale? Potrà mai consentire la destra una vera patrimoniale? E, in tema di diritti civili, potrà mai consentire la destra il riconoscimento delle coppie di fatto, una qualche forma di jus soli, una disciplina rigorosa del conflitto di interessi, pene più severe per i reati dei colletti bianchi?
Certo che no. Tutto ciò inciderebbe sul suo elettorato di riferimento e su quello dei suoi inevitabili alleati.
Ma, a questo motivo lampante se ne aggiunge un altro, forse meno evidente eppure più lacerante: quello di una sinistra che sta dentro il sistema, che si è accomodata al suo interno e lì ha stabilito conoscenze, rapporti, collegamenti, legami. Spesso, anche convenienze. Quando Renzi parlava di rottamare, forse esagerava sul verbo ma non sul bersaglio. Rottamare, per gli elettori non ha assunto il significato di mandare al macero i dirigenti più vecchi, bensì di frantumare quel reticolo di piccole e grandi complicità che ha attraversato l’Italia in ogni dove e in ogni ceto. Io faccio un favore a te, tu fai un favore a me. In una parola: clientelismo.
Paradossalmente, è stato proprio l’acuirsi della crisi a mettere allo scoperto questo sistema di reciproche garanzie, rivelandone le intrinseche debolezze. E’ così che milioni di elettori hanno deciso di far sentire la loro insofferenza, astenendosi o votando 5 Stelle. Cosa vogliono? Un cambiamento vero. Glielo potrà dare il Governo Letta? Certo che no.
Dopo lo sfascio prodotto dalla destra e l’insipienza di Grillo, a questi elettori rimane una sola proposta da fare, quella di una svolta coraggiosa, generosa e netta, avanzata dalla sinistra. Avrà la sinistra questa capacità? Se sì, allora si batta per arrivare in fretta a una nuova legge elettorale e mandi il Paese alle urne. Altrimenti, non resterà che galleggiare alla meno peggio, in questa Italia che sa dove vuole arrivare, ma non ha una classe dirigente in grado di portarcela.