In mezzo a una crisi forse mai vista, l’industria alessandrina trova motivi di speranza. A patto che “tutti si impegnino nello stesso modo” [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

 

 

Per l’economia è peggio del 2008? I dati negativi sono pari a dodici anni fa, quando è stata però registrata una curva immediata di caduta più grave dell’attuale. Ma nel 2008 la crisi era finanziaria, oggi è produttiva. E a tutto questo si sommano la massima incertezza e le variabili del tempo e del mercato.

L’indagine congiunturale di Confindustria Alessandria scatta una fotografia realistica e impietosa, ma nella quale non mancano motivi di speranza, come spiega Maurizio Miglietta, presidente di Confindustria Alessandria, imprenditore casalese (nella foto; guida l’Euromac, azienda che da lunedì rientra in attività a pieno regime). «In questi giorni, lo dico come imprenditore e presidente, stiamo ripensando un po’ tutto perché da questa situazione si può ripartire in termini positivi, cominciando da ciò che è possibile fare per migliorare l’organizzazione aziendale, cambiare il modo di lavorare, tutelare il personale. Certo, vi sono lacune da colmare, come quella delle infrastrutture immateriali. La chiusura di queste settimane – dice Miglietta – ha dimostrato che il lavoro da casa è possibile, ma ci devono essere le condizioni tecnologiche per farlo bene».

Alessandria però non parte male, tra le aziende attualmente attive la percentuale di quelle predisposte allo smart-working sfiora l’86 per cento. E i lavoratori in smart-working sono il 30 per cento degli attivi.

L’indagine congiunturale trimestrale nella prima fase di elaborazione, come spiegano Miglietta, il direttore di Confindustria Alessandria, Renzo Gatti, e il responsabile dell’Ufficio Studi, Giuseppe Monighini, ha già fatto i conti con dati pesantissimi e fortemente negativi. Tutti gli indici erano «significativamente sotto lo zero», con il crollo della reddittività, delle previsioni di investimento, degli ordini e con la crescita delle previsioni di ricorso alla cassa integrazione e delle segnalazioni di ritardo dei pagamenti. Un quadro «già sfavorevole», ulteriormente peggiorato.

Confindustria ha quindi deciso un approfondimento di indagine, svolto tra il 20 e il 22 aprile, cui hanno risposto 151 aziende associate (era di 103 il campione della congiunturale) e che permette di dire che «le imprese associate manifatturiere o di servizi alla produzione attive sono oggi circa sei su dieci, e anche queste impiegano solo il 60 per cento circa della forza lavoro. Sommando questo dato a quello delle inattive non è sbagliato stimare in oltre la metà dei lavoratori quelli al momento non regolarmente impiegati».

Ma quello più preoccupante è il dato relativo al calo degli ordinativi che coinvolge «più di quattro imprese su cinque, con aziende che stanno mediamente perdendo quasi il 60 per cento degli ordini rispetto alle aspettative pre-crisi». Un calo degli ordinativi è previsto dall’81,4 per cento di tutte le aziende del campione: quindi sono più di quattro imprese su cinque ad avere meno ordini e quindi meno lavoro del previsto prima dello scoppio della pandemia. La percentuale di chi ha un calo degli ordini è comunque altissima anche tra chi in questo momento attivo: il 76,9 per cento. Significa che tre delle quattro imprese che stanno lavorando lo fa pur in presenza di una significativa contrazione degli ordini. Il dato sale al 92,5 per cento delle imprese “ferme”. «Chi potrà ripartire lo farà, in più di nove casi su dieci, già sapendo – sottolineano Gatti e Monighini – di dover fronteggiare un calo degli ordinativi in questo caso ancora più drammatico rispetto al dato complessivo».

In provincia di Alessandria, una tra le prime dieci che esportano di più in Italia, tra le aziende associate a Confindustria quelle che hanno un codice Ateco che permette la prosecuzione dell’attività sono il 47,4 per cento del totale. «Ci risultano inviate alla Prefettura le comunicazioni previste dal Decreto del 22 marzo e seguenti dall’11,7 per cento di aziende pure associate. Ciò ha quindi consentito la prosecuzione dell’attività lavorativa nel complesso al 59,1 per cento delle nostre imprese. Se vogliamo semplificare, quindi, quattro aziende su dieci tra le manifatturiere e dei servizi alla produzione della nostra provincia non stanno in questo momento lavorando. Quelle ferme, al 90 per cento sono attrezzate per garantire sicurezza lavoro al momento della ripresa» affermano i vertici di Confindustria.

Fare previsioni è impossibile. Troppe le variabili, come ricorda il direttore di Confindustria: «Le prime sono quelle del tempo e del mercato. In questi giorni la Cina appare in ripartenza, gli Usa si muovono, mentre pesa l’incognita dell’Europa, un’area di sbocco per molte delle nostre imprese e un mercato strettamente interconnesso con quelli extraeuropei».

In questa fase si assiste a uno sforzo da parte di tutti, istituzioni e privati. Ma per superare questo momento così drammatico «bisogna mettere sullo stesso piano il valore della salute, del lavoro, dell’impresa». In questa fase, qual è il rapporto con il sindacato? «O ci rendiamo tutti responsabili o ci troveremo in difficoltà. I valori intorno ai quali ci dobbiamo stringere – risponde Gatti – sono quelli della civiltà, della cultura e del benessere. Prima tutti entriamo nella stessa lunghezza onda, prima affronteremo le nuove relazioni industriali».

L’indagine, ricorda infine Miglietta, non scende nel dettaglio dei settori, però rispetto al distretto orafo di Valenza, che è «in attesa di riattivare i motori forzatamente spenti», Confindustria sottolinea che gli imprenditori «si interrogano sulle sfide che li attendono sui mercati internazionali e sono pronti a reagire investendo con l’abituale intraprendenza sia nel proporre nelle principali atelier in ogni parte del mondo le ultime collezioni, sia nel proseguire la fornitura altamente specializzata alle più importanti griffe internazionali: per questo è necessario che siano posti in essere strumenti dedicati per sostenere il ritorno su mercati internazionali e misure concrete per aiutare le imprese che operano contoterzi a mantenere inalterata la quota occupazionale».