Alessandria come il Bronx? [Controvento]

Gang in azionedi Ettore Grassano.

Non possiamo far finta di nulla: al di là del fastidio che proviamo nel vedere Alessandria alla ribalta nazionale solo e soltanto per dissesti o sparatorie (da quella dell’ultimo week end, all’altra di qualche settimana fa a Roma, ad opera di un ex abitante di Predosa: “ma di origine calabrese”, avrebbero scritto le gazzette cartacee mandrogne di una volta), è chiaro che c’è sul territorio una serie di alert, di segnali di emergenza che occorre saper cogliere. Oltre ai fatti già citati, pensiamo alle gang di minorenni che si dice stiano terrorizzando alcuni quartieri della città, dal Cristo a Spinetta.

Più che guardare al singolo episodio, occorre cercare di interpretare questi fatti, e contestualizzarli. Senza naturalmente connotarli di razzismo o classismo, però anche senza fare le “anime belle” a tutti i costi, almeno naturalmente finché i fatti non ci toccano direttamente.

Di fronte a casi come quelli delle ultime settimane, prima di pontificare in un senso o nell’altro, occorre sempre cercare di mettersi “nei panni di”: ossia, come reagirei se qualcuno mi sparasse addosso senza motivo, o provasse a menare e derubare mio figlio? Ma anche “se fosse stato mio padre a dare in escandescenze in comune, e io ragazzino lo avessi visto trascinato via e maltrattato, come crescerei? Con quanto rancore, e canalizzato verso chi o cosa?”

Non aspettatevi risposte risolutive e “chiavi in mano”, naturalmente. Ma è evidente che esiste un disagio sociale sempre più diffuso, e che probabilmente crescerà ulteriormente nei prossimi mesi e anni. Per far fronte ad un simile scenario servono rigore e certezza della pena (oggi non sempre è così), ma questo non basta: ci vogliono soprattutto politiche di prevenzione, delle quali peraltro, un po’ per caso e un po’ no, parla oggi Corrado Parise, presidente della cooperativa Il Gabbiano, nell’approfondimento che vi proponiamo. Di prevenzione sociale, in Italia e non solo ad Alessandria, se ne fa sempre meno, per tante ragioni: e i risultati si vedono, e vedranno.

Però, appunto, non facciamo le “anime belle”: il tizio che ha sparato all’impazzata l’altra sera ad Alessandria sarà pure residente a Bistagno e cittadino italiano, ma è di cultura colombiana. Straniero era l’uomo che la settimana scorsa ha dato “di matto” in comune, e stranieri a quanto si legge sono i teppistelli minorenni che terrorizzano la Fraschetta. Che la questione disagio/delinquenza si incroci con il tema immigrazione (di prima ma spesso ormai anche di seconda generazione: ragazzini nati qui, ma cresciuti ai margini, e quindi anche più “incazzati”) è evidente. E c’è un altro fatto: con la crisi che morde, l’immigrazione buona e seria (ossia la gran parte degli stranieri, lavoratori di non importa quale colore della pelle o Stato o religione) sta abbandonando l’Italia, rapidamente. Qui rischiamo davvero di continuare ad “attrarre” soltanto disperati (così come i Paesi evoluti attraggono cervelli), e la disperazione ha nella delinquenza uno dei suoi “sfoghi” naturali.

Proprio per evitare che tutto ciò degeneri in razzismo, queste questioni vanno affrontate con serietà (e senza demagogia) dalle autorità preposte, dal Governo in giù. Personalmente ad esempio rimango convinto che “ciondolare” tutto il giorno all’ingresso degli ipermercati e nei parcheggi cittadini, con un cellulare all’orecchio (ma con chi parlano continuamente? bah…), molestando i passanti alla caccia di un obolo più o meno spontaneo non sia un lavoro. Anzi, è probabilmente l’anticamera per percorsi socialmente assai più dannosi. Prossimamente vi racconterò il percorso di autorizzazioni che un qualsiasi italiano deve affrontare se vuole trasferirsi (a lavorare, non a chiedere l’elemosina o peggio) all’estero. Copiare dai più bravi, per imparare come si fa, non sarebbe male.

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