Alessandria rischia di diventare un laboratorio di massacro sociale: se questo Comune attuerà il risanamento del Bilancio attraverso pesantissimi tagli occupazionali, diventerà un esempio (negativo) per gli altri Enti Locali in condizioni di dissesto. Ogni comune, cioè, programmerà un piano di rientro dal dissesto basato sul taglio dei posti di lavoro.
Va sicuramente ricordato che lo spaventoso buco (42 milioni di euro) è un lascito della precedente amministrazione di centro – destra rispetto alla quale più volte è intervenuta la Corte dei Conti, ma l’atteggiamento dell’attuale Sindaco di centro sinistra è stato quello di un vero e proprio voltafaccia rispetto alle promesse in campagna elettorale e alle prime dichiarazioni improntate alla collaborazione con le Organizzazioni Sindacali, le RSU e i lavoratori tutti proprio per tutelare i livelli occupazionali.
Invece, l’unica cosa concreta alla quale ha pensato il Comune di Alessandria è il numero di esuberi; cioè di come avviare il risanamento del Bilancio facendolo pagare sulla pelle di (almeno) 188 lavoratori.
Non si può parlare di Piani Industriali delle Aziende Partecipate: quel documento si riduce al rendiconto dei posti di lavoro da tagliare (e dei servizi da sopprimere). L’unico approfondimento contenuto nel documento è quello sul ricorso a possibili ammortizzatori sociali, dando per scontato, quindi, che non si possono tutelare i posti di lavoro.
Il Sindaco Rita Rossa continua a sostenere che “non ci sono alternative”: sembra di sentire la Thatcher quando nei primi anni ’80 in Inghilterra vennero licenziati migliaia e migliaia di operai (“There is no alternative !”).
I segnali del massacro sociale erano già contenuti nel Bilancio di Previsione 2012 (approvato in dicembre 2012…a pochi giorni dalla fine dell’anno…) del Comune di Alessandria con il taglio, pesantissimo delle spese correnti le quali non devono essere considerate alla stregua di sprechi, di spesa improduttiva, di zavorra da tagliare. Con le spese correnti si paga il personale dell’Ente e le prestazioni di servizi (cioè i servizi erogati alla comunità dalle aziende partecipate): si tratta cioè di spese assolutamente necessarie per il corretto funzionamento dell’Ente, cioè per l’erogazione di servizi alla comunità alessandrina !
Ebbene: le spese correnti passano, da 107,6 milioni del 2012, a 92,7 milioni del 2013 e, addirittura, 81,085 milioni del 2014.
La spesa per il personale passa da 27 milioni del 2012 a 21 milioni del 2014: si tratta di un taglio di 6 milioni di euro che, ovviamente, non sarà coperto dai pensionamenti che verranno effettuati.
Stesso ragionamento vale per le prestazioni di servizio che crolla da 55 milioni del 2012 a 38 milioni del 2014. Un calo di 17 milioni di euro.
Le risorse per i servizi alla famiglia passerebbero da 150.000 euro del 2012 a 0 (zero) del 2014; l’assistenza scolastica passerebbe da 529.000 euro a 291.000 (praticamente dimezzata); la spesa per solidarietà sociale da 70.000 a 33.200.
Il cosiddetto “Piano Industriale delle aziende partecipate” è impostato su lacune direttrici:
– Dichiarazione di 188 esuberi variamente ripartiti;
– L’affermazione della chiusura di alcuni servizi senza soluzioni alternative;
– La proposta di reinternalizzare alcuni servizi: la cosa curiosa è che questo, in parte, avviene senza internalizzare i relativi dipendenti;
– Ricorso a possibili (?) ammortizzatori sociali (caso ATM);
– Liquidazioni (ammesso che sia fattibile) di società;
– Scioglimento di aziende (Costruire) e affidamento di quei servizi a cooperative sociali.
Su Aspal non si è mai proposta una soluzione credibile per i dipendenti: ci si è ridotti a dichiarare 58 esuberi con sole 12 possibili ricollocazioni a seguito di una ipotizzata reinternalizzazione di parte dei servizi. Ovviamente della sorte dei servizi (giovani, informatica, mediazione culturale, refezione assistenza mense dei nidi, musei civici, turismo, riscossione imposte, contravvenzioni) non viene garantito nulla nonostante l’importante valenza sociale di molti di questi; di alcuni si scrive chiaramente “chiusura del servizio”…
Per ATM, se da un Bilancio di 10,5 milioni ne vengono tagliati 3,5 è evidente che si preannunciano esuberi per almeno 50-70 persone.
Ma non basta.
Se dovesse rimanere confermata la posizione della Regione Piemonte di pesanti tagli al TPL, ATM subirebbe una ulteriore riduzione dovuta al calo della quota di contribuzione Regionale da euro 4,5 milioni a euro 3,798 milioni con una riduzione di 700.000 euro.
Quindi, tra Comune e Regione verrebbero meno oltre 4 milioni di euro determinando, di fatto, la scomparsa di questa azienda.
Per AMIU per troppo tempo non si è fatto altro che proporre interventi peggiorativi per i dipendenti (come la rinuncia al CCNL di Federambiente per passare a quello delle multi servizi con un evidente peggioramento di trattamento), si è tentata la cessione ad IREN, si sono adombrati possibili esuberi. Adesso la società viene messa in liquidazione con istanza di fallimento.
Per anni non si è voluto affrontare il problema della separazione che permane con Aral: una separazione priva di senso che impedisce di costituire una filiera integrata e completa del ciclo rifiuti, sotto controllo pubblico. Adesso, con AMUI in liquidazione, il servizio rifiuti viene affidato ad ARAL; bene, purché ci venga spiegato come verranno tutelati i livelli occupazionali.
Sulla liquidazione di AMIU ci permettiamo solo di ricordare una recente pronuncia del Tribunale di Palermo secondo la quale le società per azioni partecipate dal comune, pur essendo istituite sotto forma di impresa di diritto privato, non possono fallire poiché non sono imprenditori commerciali.
Sempre in materia di partecipate, fatichiamo a capire la messa in vendita di quote azionarie di Alegas, cioè della società deputata alla vendita di gas; cioè della società che porta soldi in cassa grazie alle attività di commercializzazione.
Le reti, ovviamente sono incedibili e pertanto devono essere mantenute in capo ad una società pubblica al 100%.
Per Costruire Insieme (servizi educativi) sono previsti 65 esuberi.
Qui siamo alla farsa. Si ipotizza di sciogliere l’azienda speciale C.I. e di affidare i servizi di gestione dei nidi e delle scuole dell’infanzia a cooperative sociali. Ogni commento è superfluo.
E’ evidente che con gli strumenti ordinari il Comune di Alessandria non è in grado di gestire una situazione di dissesto, cioè un fatto assolutamente straordinario.
Se Rita Rossa continua a ripetere che non ci sono alternative, gli esuberi sono un fatto obbligato.
L’unica cosa già fattibile sdarebbe quella di intervenire sull’indebitamento con le Banche.
Per quanto riguarda il debito residuo si potrebbe operare in modo tale da alleggerirne il peso: a partire dal rapporto con Cassa Depositi e Prestiti, il Comune di Alessandria, dovrebbe proporre una ristrutturazione di parte del debito, allungandone nel tempo la restituzione della parte residua.
Si tratta di una operazione che consentirebbe di spalmare su un arco temporale maggiore la restituzione di questa parte di debito gravando meno sulle prossime annualità.
Ma il vero problema, per Alessandria, ed in prospettiva per gli altri Enti in dissesto, è quello di ottenere una soluzione strutturale da parte del Governo con un apposito fondo di gestione delle situazioni di dissesto che consenta di gestirle senza tagliare i posti di lavoro e i servizi alla cittadinanza. Questo non significa dimenticare le responsabilità di chi ha determinato il dissesto che, anzi, vanno accertate fino in fondo.
Si tratta di evitare che il risanamento dei conti pubblici passi attraverso operazioni di massacro sociale.
Ma per fare questo non serve che il Comune si metta contro i lavoratori; servirebbe l’atteggiamento esattamente contrario, cioè quello di una alleanza tra Comune, dipendenti e Organizzazioni Sindacali per aprire un confronto serio e operativo col Governo. Se questo fronte si è rotto non è certo colpa dei lavoratori costretti a leggere dalle pagine dei giornali di essere diventati esuberi.
Matteo Gaddi
Movimento per il Partito del Lavoro