di Danilo Arona
Negli ultimi anni, da Stephen King all’Amica geniale, passando per Stranger Things e Chiamami col tuo nome di Guadagnino, il racconto del passaggio adolescenziale quale necessario rito iniziatico per conquistare l’età adulta è divenuto un leit-motiv ricorrente, quasi un genere a sé stante. Al punto dall’essersi inserito in parte in quel filone, sempre un po’ vago da definire ma molto caro agli editori, battezzato young adult: dico “vago” perché non è sempre vero che i ragazzi leggano storie dove si trovano come protagonisti dei loro coetanei. Se così fosse in assoluto, IT sarebbe un mastodontico young adult, ma così non è, soprattutto il libro. Senza infilarci in percorsi accademici che poi non servono neppure ai librai per piazzare la merce, quando l’adolescenza è ben raccontata – tanto sulla carta che sullo schermo -, riesce a muovere dinamiche profonde, e non sarebbe neppure il caso di spiegare il perché. Però in qualche modo va fatto. Prendete il famoso tormentone delle “estati” artistiche, spessissino declinato da un sacco di scrittori proprio in chiave adolescenziale. Da King (ancora lui) ai tanti italiani che si sono cimentati (Baldini, Carofiglio, Guerrini, Ammaniti, tra i più famosi), il tema dell’estate “di passaggio” interessa e colpisce nel profondo tanta gente accomunata da un comune e viscerale ricordo.
Prima di essere una stagione l’estate è un simbolo. Un archetipo. Il magma primordiale dell’amore. Il tempo dei transiti, dei riti d’iniziazione, della fugacità. Il tempo del passaggio, traumatico o rettilineo, da un punto di vista a un altro. Da un’età di incertezza fanciullesca a una consapevolezza quasi adulta; da un grumo indistinto di identità multiple in formazione a un profilo emergente, stabile e dominante. Stagione atmosferica di estremi che collidono, temporali che devastano e temperature cocenti. Una luce oscura e nel contempo abbagliante che dissimula la dolorosa malinconia di una perdita. Luce che impedisce di vedere, oltre che gli importanti contorni del necessario confine, anche il cuore e la sostanza dei problemi.
Così scrivevo ne L’estate di Montebuio. E peccato per chi – e speriamo che siano pochi – non ha vissuto un’adolescenza, anche estiva, zeppa di pulsioni, amori immaginati, sensazioni che squassano lo stomaco. Un momento di così intenso cambiamento che si diventa, purtroppo, consapevoli del Male a un centimetro dal proprio naso di fanciullo. Quell’entità astratta, ma concretamente malvagia, che può trasformarti in adulto (corrotto) in un nanosecondo, facendo sì che l’adolescenza non ti abbandona più sino alla vecchiaia, padrona com’è divenuta dello spazio mentale.
Tutto quanto ci azzecca con il libro di cui vado a parlare? Certo, ma non solo. Perché nel tomo di 500 pagine c’è molto, ma molto, di più, ma vado per ordine tentando per quanto possibile di incappare in malaugurati spoiler.
Innanzitutto, titolo e autrice: La ragazza di madreperla (Edizioni Minerva) dell’amica e concittadina Rossana Balduzzi Gastini: un lavoro sorprendente perché in primo luogo segna una svolta nella narrativa dell’autrice, orientata senza fraintendimenti verso una forma personalissima di thriller venato di supereroismo fantastico. E sorprende perché possiede, a differenza di tanti contemporanei che a volte scalano le classifiche, la rara capacità di buttarti dentro la storia, da subito, con un appassionante intreccio a incastri che personalmente mi ha ricordato i maestosi incipit di un gigante quale Jean-Christophe Grangé che riesce a inciuciare le situazioni più eterogenee per farle confluire in ammirevoli strutture unitarie. Certifico che il riferimento possa avere solo senso per me perché è vero che la mano leggiadra di Rossana, che peraltro non arretra di un millimetro di fronte al Male, è distante anni luce dalle brutalità “color fiumi di porpora” dello scrittore francese. Ma giusto per capirci e per ricordare che nella tradizione di eccelse esploratrici delle anime “nere” (che so, da Shirley Jackson all’amicissima Barbara Baraldi – lo so, è un arco temporale immenso ma condivisibile per le affinità) l’approccio femminile è quanto mai funzionale per identificare l’estetica del nero avversario.
In ogni caso, colpo di fulmine nelle pagine iniziali. Per chi legge e per chi impara ad amare i protagonisti. Tra Perla e Carla Baldi, cuore di madre, che strappa la “nacre girl” a un gruppo di nomadi. Per chi ama essere sorpreso e incappa suo malgrado nel romanzo che, comunque, non ti aspetti. Senza che io che mi affanni a raccontare l’inenarrabile, La ragazza di madreperla è un otto volante spericolato tra la genetica impazzita e il crudo gangsterismo dei narcos, tra il bondismo (sì, proprio lui, James!) e i sentimenti più nobili, tra il mito ai confini dell’esoterismo e il noir alla maniera di Rossana.
Dell’amica ricordo i titoli di un’ammirevole produzione in atto dal 2013 a oggi, ovvero Life on Loan, Covered e Giuseppe Borsalino, titolo quest’ultimo che nessun alessandrino dovrebbe perdersi. E termino con la beneaugurante affermazione che La ragazza di madreperla è davvero un serial perfetto, già scandito temporalmente per episodi cronologicamente dipendenti. Sarebbe un peccato non vederlo realizzato. La sceneggiatura è bell’e pronta ed è perfetta.