di Beppe Giuliano
Cifra tonda. Capitolo 8
Il campionato di calcio si gioca, dunque, a porte chiuse.
Il provvedimento coinvolge come le grandi sfide della serie A e delle coppe europee, anche il campionato della nostra Alessandria, tra l’altro pure la partita in programma a breve contro la Juventus (nella versione Under-23, vero, ma trattasi comunque di “vecchia signora”).
Già, la stessa avversaria che i grigi affrontarono giusto sessant’anni fa.
Era la domenica 6 marzo del 1960 e al Moccagatta si contavano “diciottomila persone circa presenti sul campo, con più di quindicimila paganti”.
Il racconto della ‘Stampa Sera’ rendeva bene l’idea dell’attesa e dell’affluenza: “Da Asti in poi un’ininterrotta fila di automobili, motociclette e perfino di biciclette si snodava verso Alessandria. Proseguendo su Spinetta Marengo, alla ricerca della Juventus che prima della partita era andata a cercar un pasto senza eccessivo trambusto di tifosi acclamanti”.
Un racconto che dà anche il segno dei tempi, così come si legge con nostalgia il resoconto puntuale di presenze e incassi:
“Il campo «tutto esaurito» pareva scontato. Invece, a conti fatti, sono rimasti invenduti settemila posti disponibili su 24.000 mila. Il cassiere dei grigi si è sbrigato abbastanza facilmente a contare 16 milioni di introito. È l’incasso-record della stagione, ma i dirigenti speravano di più. Nuvole basse e prezzi alti hanno tenuto a casa i tifosi che non riescono a far andare d’accordo entusiasmo, desiderio di comodità e senso di economia. I tempi duri per l’Alessandria sono messi in evidenza anche dal «borderò»”.
Ecco, diciamo che il passaggio sui “tempi duri per l’Alessandria” nei sessant’anni trascorsi da quella partita l’abbiamo letto anche troppo di frequente.
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Era, quella, l’ultima Alessandria di sempre in serie A. Era la squadra che alla prima di campionato, in casa contro il Milan campione d’Italia aveva illuso i tifosi con una netta vittoria, un 3-1 (arbitro il signor Lo Bello di Siracusa) coronato da una tripletta di Juan Carlos Tacchi, l’argentino cresciuto nel Newell’s Old Boys, una delle due squadre della città di Rosario grande capitale del fútbol, due campionati qui da noi con quasi sessanta presenze e 17 gol, “puntero” e papà di una stirpe di attaccanti (che abbiamo per anni sognato a loro volta in maglia grigia, sempre solo sfiorandoli).
Era l’Alessandria in cui giocava Gianni Rivera: “ha compiuto 16 anni il 18 agosto scorso: di questo giocatore, comproprietà tra Alessandria e Milan, hanno già ampiamente parlato le cronache in occasione del suo debutto in serie A, avvenuto al termine dello scorso campionato contro l’Inter. È – sia detto per inciso – l’unico calciatore alessandrino che gioca nella squadra grigia, in quanto egli è nato a Valle San Bartolomeo, paese in cui nacque pure Tagnin, ora nel Bari.”
Così scriveva ‘Il Piccolo’ dopo quella prima partita di campionato. Pochi mesi dopo, proprio in previsione della sfida con la Juventus si leggeva un “Animo, bambino, coraggio!” che sembra un’anteprima della più famosa definizione mai appioppata al nostro campione, quel celeberrimo “abatino” coniato da Brera.
“Rivera con il quale siamo stati particolarmente duri” scriveva ‘egi’. “Non vogliamo assolutamente che questo ragazzo si rovini con le sue mani e siamo disposti anche a tirargli le orecchie personalmente perché vediamo in lui una speranza del calcio alessandrino e nazionale”.
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Il 6 marzo del 1960 al Moccagatta la Juventus (foto sopra tratta da Stampa Sera), sulla strada della vittoria del campionato, passò agevolmente. Finì 2-0 e segnò prima Nicolè, il ragazzo prodigio che presto sfiorirà e chiuderà la carriera appena ventisettenne proprio con una non memorabile esperienza in grigio. Il raddoppio fu del gigante John Charles, naturalmente di testa, “ed il centravanti gallese tornando a centro campo dopo la marcatura, si porta indietro come una collana il piccolo Stacchini appeso al collo in un entusiastico abbraccio di congratulazione.”
Era ancora la squadra di Boniperti, e del ‘Trio magico’ appunto col gallese e con Omar Sivori, squalificato (come sovente gli succedeva) la domenica della partita di Alessandria. Era allenata da Carletto Parola, l’uomo della rovesciata delle figurine Panini, che tra l’altro a proposito di “cifra tonda” ha compiuto settant’anni lo scorso gennaio (venne fotografata in un Fiorentina-Juventus),con direttore tecnico Renato Cesarini, già quello che ancora oggi citiamo per i gol decisivi segnati allo scadere, un matto estroverso, fuoriclasse oriundo degli anni ‘30 tanto a suo agio con la divisa da calciatore nelle aree di rigore avversarie quanto con lo smoking nei tabarins e nelle bische.
Erano gli inizi degli anni sessanta, allo stadio si poteva andare. E molto numerosi.
Come canterà di lì a poco Celentano, addirittura ‘in centomila’