di Enrico Sozzetti
Rotterdam può contare su una rete di 20 interporti in tutta l’Olanda che formano un unico grande sistema di stoccaggio e distribuzione. Ci sono, complessivamente, centinaia di chilometri di canali, strade, ferrovie (compresa la Betuwe Route, 160 chilometri di binari a uso esclusivo per le merci che collega la Germania).
Certo, c’è un territorio privo di catene montuose come quelle italiane, ma non per questo alcune grandi opere pubbliche hanno avuto vita facile perché in quel paese la tutela ambientale viene prima di tutto. Ma, sopra a ogni cosa, c’è la capacità di programmare guardando al futuro, allo sviluppo dei territori e dei mercati, alla crescita di un intero sistema nazionale (e internazionale).
Quella è l’Olanda. Poi c’è l’Italia. Che oggi si avvita intorno a una eterna campagna elettorale in cui si scontrano esperti di ogni tipo, tranne che della materia di cui parla. Senza contare che nessuno appare in grado di capire che senza un sistema interconnesso, la partita internazionale rischia di essere definitivamente persa. Eppure si continuare a guardare unicamente al giardino di casa, privi di visione e pianificazione globale.
Dimenticando che se per il trasporto via mare, continua a essere vantaggioso (economicamente e per tempi di percorrenza) per le merci passare da Rotterdam per poi raggiungere il resto dell’Europa e dell’Italia, un motivo ci sarà.
Il dramma del ponte Morandi di Genova ha causato la perdita di vite umane e una pesante contrazione delle attività del sistema portuale (che comunque registra numeri incoraggianti nonostante tutto), gli effetti delle mancate manutenzioni delle infrastrutture autostradali si misurano ogni giorno sulla già agonizzante e asfittica rete ligure e su quella che collega il basso Piemonte, la rete ferroviaria – ferma alle opere realizzate nel Novecento da una nazione che fino a un certo punto ha pensato al futuro e alla crescita – dimostra ogni giorno limiti e deficit. In questo quadro tutt’altro che roseo e incoraggiante, qualcosa cerca comunque di muoversi, puntando non solo su quello che verrà (il terzo valico ferroviario, in ritardo di decenni rispetto alle reali necessità), bensì innanzitutto su quello che c’è. Eppure l’economia reale resta sempre distante da quella di cui parlano le pubbliche amministrazioni e la politica.
Che ognuno pensi unicamente a coltivare il proprio orticello, è un dato purtroppo acquisito. Lo fa la Regione Piemonte che non perde occasione per ribadire come l’interesse sia sempre più ‘torinocentrico’ che ‘piemontecentrico’.
Il dossier sulle infrastrutture del Piemonte, trasmesso nell’estate del 2019 al ministero, dedica ad Alessandria e al progetto retroporto poche righe, mentre un capitolo più nutrito è riservato a Novara, all’interporto Cim e alle dotazioni ferroviarie (nel documento manca ogni riferimento all’area dell’interporto di Rivalta Scrivia, ndr) novaresi, oltre a quelle di Torino e dintorni. Poi all’inizio di gennaio viene anche approvato all’unanimità un ordine del giorno che impegna la Giunta regionale «a predisporre per l’approvazione, da parte del Consiglio regionale, di un piano di Sviluppo Strategico per l’istituzione della Zona Logistica Semplificata – Zona Economica Strategica di Torino, collegata a Genova, da presentare al Governo centrale».
Nella zona economica strategica (Zes) le nuove imprese, e quelle già esistenti che avviano un nuove attività, possono usufruire di procedure semplificate e regimi procedimentali speciali. Le Zes sono previste dal Decreto per il Mezzogiorno per le sole aree portuali del Sud Italia. Quanto siano praticabili nel nord, non viene spiegato bene.
Però anche gli alessandrini non sono da meno. In particolare alcuni che ritengono di detenere verità uniche e di saperne più di altri. Recentemente è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra Comune e Provincia di Piacenza e le Regioni Liguria, Lombardia e Piemonte (molte parole, niente risorse) «che ha lo scopo di favorire il raccordo tra i poli logistici piacentini, i sistemi logistici lombardi e piemontesi e il sistema portuale ligure, allo scopo di perseguire un efficiente sviluppo dell’intermodalità tra porti, retroporti e mercati, anche attraverso l’istituzione della Zona Logistica Semplificata prevista dal Decreto Genova».
Apriti cielo. Nell’Alessandrino si è scatenata una serie di interventi, ben poco tecnici e tutti nel segno della contrapposizione politica.
Renzo Penna dell’associazione Città Futura (classe 1947, storico esponente sindacale Cgil, già deputato, un passato nelle file di Psi, Ds e Sinistra ecologia e libertà) chiede se il sindaco di Alessandria e il presidente della Provincia (entrambi di centrodestra) «erano al corrente delle trattative in corso e della firma del patto. E i due milioni stanziati dal precedente Governo per sviluppare lo scalo merci di Alessandria come retro porto di Genova che fine fanno e a cosa servivano»? Durante la presentazione del protocollo, sottoscritto a Piacenza, è stato ribadito come l’obiettivo sia «rafforzare la collaborazione tra territori omogenei e agire in modo coordinato, anche nei rapporti con il livello di governo nazionale, nel sostegno al comparto logistico e allo sviluppo dell’intermodalità. Abbiamo un sistema fortemente interrelato, fatto di portualità in Liguria e poli logistici e intermodali nei nostri territori: bisogna agevolare il trasporto merci su ferro ma per farlo occorre adeguare e potenziare le infrastrutture di pertinenza nazionale». Peraltro, l’articolo 7 del Decreto Genova ha istituito la “Zona Logistica Semplificata – Porto e retroporto di Genova”, che comprende i territori portuali e retroportuali del Comune di Genova, fino a includere i retroporti di Rivalta Scrivia, Novi San Bovo, Alessandria, Piacenza, Vado Ligure (più alcuni altri minori).
A distanza di poco tempo, ecco che arriva la Cgil di Alessandria che in un comunicato dai passaggi non sempre chiarissimi, a un certo punto avanza critiche rispetto a uno scenario che, secondo il sindacato confederale, rischia di «isolare il basso Piemonte, concentrando gli investimenti nel nord est (non è chiaro a quale area faccia riferimento), condannando Alessandria a rimanere l’area più inquinata d’Italia con la più alta concentrazione di tumori d’Italia con un trasporto di merci e persone esclusivo carente e pericoloso, su gomma».
Infine, facendo riferimento a una intervista del sindaco, Gianfranco Cuttica di Revigliasco, a un giornale locale, che ha parlato di «una prossima firma di un documento con il Comune di Genova per l’avvio dei lavori di progettazione dello scalo ferroviario per realizzare il retroporto di Genova» la Cgil chiede di «capire quale scalo ferroviario, ne facciamo due»? Domanda incomprensibile, a meno che il sindacato non abbia chiaro il fatto che il progetto riguarda una porzione interna dello scalo. Non la costruzione di un’altra infrastruttura. E su questo, i due milioni esistono e il progetto è alle batture finali.
La sintesi è sempre la solita, scarsa incisività e molta autoreferenzialità, oltre alla eterna campagna elettorale che pare serpeggiare in ogni intervento che raramente entra nel merito, bensì contesta immancabilmente la parte politica avversa. Si parla così spesso senza conoscere i mercati, i flussi di merci, i corridoi internazionali, la situazione dei porti. Alla faccia di Rotterdam e del sistema logistico interno che penetra per circa cento chilometri all’interno del paese.
Intanto il porto di La Spezia nel 2019 ha registrato un traffico delle merci in porto pari a 15,9 milioni di tonnellate, con una cresciuta del +0,6 per cento sull’anno precedente, nonostante una contrazione attribuita sostanzialmente alla ridotta attività di trasbordo che ha interessato lo scalo spezzino per tutto il 2019. Per Genova e Savona, il 2019 visto attestare la movimentazione su 2,7 milioni di teu, circa duecentomila in più del 2018. L’autorità portuale punta, per Genova e Savona, su cinque / sei milioni di teu, grazie ai nuovi terminal portuali e al potenziamento delle infrastrutture terrestri. Ovviamente in uno scenario in cui le autostrade siano percorribili e i binari riescano a sostenere l’incremento di traffico che, in gran parte, non può che passare per l’area strategica dell’Alessandrino, dove sono presenti le infrastrutture in grado di comporre i convogli e lavorare, per la parte necessaria in queste fasi, le merci.