di Dario B. Caruso
Ricordo che ragionammo a settembre, nel corso dei primi collegi e consigli di classe, di dove avremmo svolto la gita scolastica dell’aprile venturo
Dopo aver messo sul tavolo diverse opzioni, tutte significative ed importanti, decidemmo per quattro giorni a Monaco di Baviera e Salisburgo.
“Si potrebbe andare a visitare il campo di concentramento di Dachau…”
Un momento di silenzio lungo un’eternità.
Che cosa stava passando nella testa di ciascuno di noi lo lascio all’immaginazione del lettore.
Eravamo meno di una ventina e il tumulto dei pensieri era palpabile: avevamo paura.
La differenza tra una scuola vera ed un gruppo di anonimi impiegati dello Stato è questa: il coraggio di mettersi in gioco per vivere esperienze uniche e crescere insieme.
Accolta l’opzione Dachau, dovevamo cominciare a costruire un percorso didattico per prepararci tutti, grandi e piccoli.
I sei mesi di tempo da allora al viaggio di istruzione furono bellissimi, ogni argomento di ogni disciplina veniva filtrato attraverso un’ottica condivisa, con momenti di riflessione ma anche di divertimento. Perché non si può comprendere il vero senso della sofferenza se non si conosce a fondo il valore della gioia.
Partimmo con due pullman, eravamo un centinaio, i ragazzi di prima, seconda e terza media, quasi tutti gli insegnanti ed un paio di collaboratori scolastici.
L’avventura fu incredibile.
Le esperienze di questo tipo danno forza.
Quei quattro giorni valsero l’intero anno scolastico, abbiamo viaggiato conoscendoci, cantato, raccontato barzellette, scherzato, mangiato insieme, camminato in silenzio, pregato, pianto, rivissuto la storia, resistito al dolore, poi ancora viaggiato confrontandoci.
Al ritorno, scendemmo dal pullman ma non da quella sensazione di essere diversi da prima.
Ancora oggi, incontrando gli stessi colleghi e quegli studenti ormai adulti e padri e madri di famiglia, penso che per me il giorno della memoria è questo: ricordare la strada fatta insieme.
Solamente così è più difficile sbagliare.