di Danilo Arona
Insomma, mi viene chiesto dall’autore in persona – Rocco Bargioni, ventisette anni, figlio di Rudi – se vado a presentare in via Trotti 47 il suo libro Niente taxi a Chattanooga (sottotitolo, Sono stato in America, ma niente di serio), e certo che sì. Non perché suo padre sia nella list dei miei 5 migliori amici, quelli famosi che se ti chiamano alle 3 di notte tu parti e vai senza chieder loro perché, e neppure perché 27 anni fa ho cullato Rocco, un po’ meno ingombrante di adesso, al sottofondo sonoro di una famosa hit di Willy Zaino tratta dal Fausto Terenzi Show che qui non mi è dato nominare (Willy era presente e cantava, mia moglie faceva il coro, insomma era una canzone stonata). No, il fatto importante è che il libro è proprio figo, ma tra qualche riga ci arrivo.
Sabato 4 gennaio mi presento al Lab51 con venti minuti d’anticipo sul previsto inizio evento alle 18, 30 e il fermento è già notevole. Svisa, dee-jay set, sta memorizzando la scaletta dei pezzi (sono 38, tutti arrapanti, non uno banale) e Rudi sta impostando le diapo in ordine di comparizione. Dietro le quinte compaiono per mano quasi magica cibarie e bevande per fan club di affamati.
Alle 18, 29 la manovalanza va a rimediare sedie laddove si può in via Trotti. Rocco è già apparso e mi sembra emozionato e ci mancherebbe, si tratta della sua prima presentazione in assoluto. Ma il dato visivo, quello più sconcertante in positivo, è la quantità di ragazze e ragazzi che affollano la sala, saranno 200, o di più. Accidenti, Rocco, il prossimo libro mio, se avrò ancora voglia di scriverne uno, vieni tu a farmi da chaperon. Poi mi rispondo in silenzio: ma sì, non sono venuti tanto per il libro quanto per Rocco e l’evento. È la generazione social, ma neppure così giovanissima. E allora?
E allora parto. La prendo da lontano e intanto la racconto anche a voi che non c’eravate. Un po’ di mesi fa Rocco annuncia a babbo Rudi e a mamma Marti che se ne andrà a fare un giro in America. Un Grand Tour, per dirla con i romantici inglesi dell’Ottocento, molto fuori dagli schemi turistici (niente New York, né Miami, neppure LA) sulle rotte di un’America poco conosciuta e desueta e proprio per questo forse più America di quella da cartolina. Mi immagino la scena perché conosco tutti e tre: Rocco che declama come se dovesse partire per Castelceriolo, Rudi che rimugina e ne prende atto, Marti che obnubila la sua preoccupazione di mamma con eroismo ancestrale. Però va detto che, a fronte di due genitori genuini artisti e viaggiatori a loro volta non solo dell’anima, in Rocco sin dalla più tenera età vibra l’anima di un meticoloso operatore turistico. Ho memoria di un Rocco forse poco più che decenne che ci conduceva per il mondo sullo schermo di un PC con una precisione adamantina per nomi di località e particolari annessi. Stupefacente, non c’era trucco.
Così il primo di luglio si parte. Con blog aperto e impostato tramite il quale riferire quotidianamente al mondo e altrettanto delineato il soundtrack del viaggio – io che ho fatto parte della generazione di Easy Rider so bene che la musica ti deve accompagnare sempre, sia che scendi all’inferno o te ne vai a bussare alle Porte del Paradiso. Il viaggio inizia, la musica anche, a ogni sosta commentata si scatta una foto. Ed eccoci qui col libro che, forte di una prefazione di lusso – Giovanna Calvenzi!, è un oggetto piacevolmente misterioso e sfuggente alle definizioni e meno male: un resoconto – diario di viaggio, con 50 foto e 38 canzoni, alla fine cosa racconta? Avete contato quante parole ho appena usato per non definirlo? E, insomma, capita pure che, dovendo presentare il libro di Rocco, io sia costretto a pronunciarne il nome e a ogni “Rocco!” emesso dalla mia bocca, la massa di ragazzi che ascolta faccia scattare l’applauso scrosciante, così da instaurare il giusto intermezzo comico in grado di creare l’idonea atmosfera.
Poi, com’è giusto che sia, Rocco parte in solitaria, si racconta e racconta le diapositive nell’ordine cronologico del viaggio attraverso il Nord America dal primo al 25 luglio del 2018, tra Canada, Chicago, Tennessee, Arkansas e Texas. Non sto a ripetermi, è un trionfo. E si tratta solo della prima presentazione, chissà le altre. Comunque si sono vendute tutte le copie del libro. Mica poche.
Se il tono vi pare scanzonato, però vorrei chiudere con una notazione seria. Niente taxi a Chattanooga, aldilà delle 50 foto e le 38 canzoni, è un prodotto soprattutto di parole. Dove c’è un autore con il suo linguaggio. E qui arrivo: l’esemplare scrittura, tutta in levare (quella che annuncia che sta per accadere qualcosa, something wicked this way comes, commenterebbe Ray Bradbury), e ti arrivare all’ultima pagina dopo che ti sei bevuto 25 giorni di viaggio, è la forma eccelsa di un autore che proprio non sembra alle prime armi ed è in grado di raccontarti la lista della spesa e fartene partecipe con totale asservimento emotivo. Insomma, Rocco, se mantieni questo stile unico, efficace e pulito, sei pronto per un grande romanzo. Magari dopo un secondo Grand Tour.
Il libro, edito da La Torre Editore, vanta un’edizione impeccabile e preziosa. Particolare aggiunto non da poco.