di Dario B. Caruso
Le parole composte danno gioia a tutti.
Agli adulti colti perché possano ostentare la conoscenza attraverso la narrazione delle etimologie ed i conseguenti riferimenti storici.
Agli anziani perché possano storpiarle rendendole ludicamente comiche, dispensando divertimento durante le partite di carte in bocciofila.
Ai ragazzi perché possano inventare neologismi, magari pescando anche dalla lingua inglese, lingua ormai ufficialmente colonizzatrice del lessico moderno.
Se crazia sta per potere allora il potere di questo termine è infinito.
Secondo l’accostamento poi assume un significato positivo oppure negativo; per esempio autocrazia e democrazia sono agli antipodi, rappresentano gli opposti e non sta a me dire quale sia il bene e il male.
In alcuni accostamenti le crazie si completano, per esempio fallocrazia e ginecocrazia rappresentano lo yin e lo yang dell’universo, infatti a ben vedere i due sinonimi machismo e matriarcato acquistano palesemente un’idea di buono e cattivo.
In altri casi ancora le crazie sono involuzioni e abbrutimenti di loro stesse: la burocrazia diventa talmente esasperata ed esasperante da divenire lentocrazia; una partecipazione del popolo di piazza eccessivamente violenta si tramuta in oclocrazia, imponendosi in tal modo sul potere legittimo e sulla legge stessa.
Vorrei ora giocare con una nuova parola che durante le lente digestioni di questi giorni mi è balzata in testa.
Deriva dalla crasi di due parole simili in due lingue diverse: crazya.
Crazya è potere alla pazzia.
Crazya sta a significare che – tirando le somme – un po’ di follia non guasta, ti dà la giusta forza per andare avanti (potere al sé), è una ricarica a costo zero che permette al singolo di non lasciarsi fagocitare dalle logiche di oggi (libertà dentro alle regole), è un modo per sentirsi soli quando in realtà si è isolati davvero (la pazzia è relativa, diceva Bukowski).
Cratyci di tutto il mondo, buon 2020!