di Beppe Giuliano
Gara-3. Pesaro, 6 maggio 1989
Phillips Milano-Scavolini Pesaro 2-0
Nell’estate del 1981 il passaggio clamoroso ai grandi rivali. Non vincevano il campionato da quasi un decennio all’Olimpia Milano, dallo spareggio del 1972, e Dino Meneghin era perfetto per completare il quintetto che Dan Peterson aveva in mente, perché dava peso alla “Banda Bassotti” cui in attacco non bastava la dedizione del “Gallo” Vittorio Gallinari, il papà di Danilo, a cui il coach voleva tanto bene, quello che si sacrificava più di tutti quando si trattava di difendere e ancorava la durissima, famosa zona 1-3-1 che sarà alla base di tante vittorie.
A Varese pensavano Meneghin fosse in declino, avrebbero preferito piazzarlo da qualche altra parte ma Dino scelse Milano anche se i tifosi non lo volevano, oltretutto appena arrivato s’era fatto male: è finito, ce l’han mandato perché è marcio, l’accoglienza.
Quasi un decennio dopo il suo passaggio a Milano lui, che doveva essere finito, nel frattempo aveva vinto tutto. Di nuovo. Altri 4 campionati, ed eravamo in totale a undici: Dino si poteva mettere la stella al petto solo con le sue di vittorie. Altre 2 Coppe Italie, ed era a sei. Due altre Coppe dei Campioni (per un totale di sette), un’altra Intercontinentale e, per non farsi mancare niente, la prima Coppa Korac.
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La stagione regolare di Milano in quel 1989 non è stata straordinaria. Solo quinti, con diciotto vinte e dodici perse. Sulla panchina non c’è più coach Dan Peterson, che intanto è diventato estremamente popolare, la voce del racconto della NBA che tantissimi guardano alle tivù private. L’inventore di espressioni che ancora adesso accompagnano il racconto del basket (“mamma butta la pasta” tra tutte). La squadra è comunque ancora quella costruita da lui, e stanno diventando vecchi, infine. Dino va per i quaranta, Mike D’Antoni e Bob McAdoo hanno solo un anno di meno, ha superato i trenta lo stesso Roberto Premier che è grasso e sgraziato ma quando il pallone scotta e un tiro conta la mette sempre. Anzi, quasi sempre, come vedremo.
Già, Bob McAdoo. Quando è arrivato, figuriamoci, tutti a pensare: eccone qui un altro che ha vinto titoli nella NBA e adesso viene a guadagnare soldi e divertirsi, un altro come Spencer Haywood che stava più nelle camere da letto che al palasport.
E invece un’immagine di quel basket del 1989, un’immagine bella ché ce ne sono anche di brutte, è proprio il veterano della NBA McAdoo che si butta sul parquet a recuperare una palla vagante come se la sua carriera fosse all’inizio, non alla fine.
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La squadra è vecchia. È acciaccata. E in semifinale li aspetta Pesaro.
Pesaro. I campioni in carica. Lo sponsor Scavolini nella pallacanestro investe, eccome. Hanno vinto la regular season. Li allena Valerio Bianchini. È stato il grande rivale di Peterson, dice in giro che Dan era un agente della Cia, per quello allenava il Cile nel settembre del 1973, poi l’hanno mandato qui da noi, è arrivato a Bologna con la chitarra, i capelli e le basette lunghi e i pantaloni a scacchi e dopo due settimane sembrava un perfetto gentleman petroniano.
Gara-1 si gioca proprio nelle Marche, il 6 maggio 1989. In Italia tutti sono appesi alle decisioni di Bettino Craxi che si appresta a riunire il congresso del “suo” Psi nella “sua” Milano, sembra tutto suo in quegli anni in cui nessuno è importante come lui. Deve cadere il governo guidato da Ciriaco De Mita, ha deciso. Continua a credere che debba toccargli nuovamente governare. Gli spetta di diritto, crede.
Intanto al Quirinale il Presidente Cossiga dopo anni molto cauti sta diventando “il picconatore”.
“Per l’ Acna di Cengio si profila una fermata temporanea delle produzioni inquinanti per far sì che l’azienda attui gli interventi di straordinaria manutenzione per il contenimento del percolato” si legge su Repubblica del 6 di maggio. Sono momenti difficili, la Valle Bormida combatte contro una produzione oggettivamente molto inquinante, gli operai per difendere il posto di lavoro in un territorio che non sembra offrire grandi alternative alla fabbrica. La fermata temporanea, si legge, lascia “insoddisfatta invece per lo slittamento della decisione di chiusura la senatrice comunista Carla Nespolo.”
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Lo stesso giornale racconta, nell’edizione successiva, il “fattaccio” che decide gara-1 e l’intera serie:
“Un taglio in testa, una prognosi di piccola ferita lacero-contusa al cuoio capelluto nella regione parietale occipitale destra. Cinque giorni di prognosi, secondo i servizi sanitari dell’Usl 3 di Pesaro, che hanno suturato la ferita e dimesso il giocatore, rientrato in serata a Milano assieme ai compagni. Milano parla di una moneta piovuta dalla gradinata, nella zona occupata dai tifosi pesaresi. A tarda serata Meneghin era a cena a Imola col medico della Philips, quando è stato raggiunto dai compagni. Non ho perso i sensi ha detto ricordo tutto. Stavo parlando con un arbitro, quando ho sentito un colpo secco in testa, come una sassata. Sono caduto, mi hanno aiutato a raggiungere gli spogliatoi. Non m’ importa se non é stata trovata la moneta, non era l’ unica. So solo che questo taglio non me lo sono fatto camminando.”
Il titolo dell’articolo già racconta come andrà: Colpito Meneghin Milano avrà il 2-0.
La serie di tre partite della semifinale la influenza quella vittoria a tavolino di gara-1, che ribalta il netto 91-78 che la Scavolini aveva ottenuto sul parquet. Per anni nell’ambiente si continuerà a sussurrare che era difficile decidere contro Milano.
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Giocano così l’ennesima finale in quel maggio 1989 i vecchietti di Milano e la decisiva gara-5 con la serie in equilibrio è fuori casa, perché il vantaggio del campo va agli avversari, si giocherà a Livorno in un palazzetto dove dovrebbero stare in due-tremila ma saranno quasi il doppio.
Non hanno mai vinto niente a Livorno eppure hanno due squadre nel campionato di serie A: la Libertas lotta per il titolo e la Pallacanestro retrocede (sono tutte e due nella C gold toscana, adesso, un’altra storia del destino malinconico del nostro movimento cestistico).
Gara-5 rimane tuttora nei ricordi per l’epilogo più polemico e controverso di sempre.
Tutta la partita punto a punto, nei momenti decisivi Milano ovviamente rispolvera la famosa difesa 1-3-1 di Peterson anche se Dan non li allena più e “il Gallo” ha lasciato la squadra.
Un punto avanti, palla in mano, il cronometro è entrato nel minuto quaranta. Meneghin e D’Antoni giocano una volta ancora la “Elle”, un pick-and-roll d’antan. Mike scarica a Premier ma questa è la volta che non la mette. Sei interminabili secondi prima della sirena, prima del canestro di Livorno, convalidato anzi no, non c’è l’instant replay, è difficile decidere contro Milano si dice nell’ambiente, finisce con un palasport ammutolito, sotto choc, e un altro titolo ai vecchi dell’Olimpia, l’ultimo per molti di loro, l’ultimo per Dino Meneghin.
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Le prime due partite: