A cura di Angelo Marenzana
Una voce tutta nuova nel panorama letterario alessandrino è rappresentata da quella di Bruno Volpi, oggi ospite del nostro consueto appuntamento di ALlibri. Alessandrino, classe 1960, laureato in Scienze Geologiche e appassionato d’arte e letteratura italiana contemporanea, dal 2014 scrive poesie, favole e brevi racconti di genere narrativo e giallo/noir e collabora attivamente con le redazioni della rivista “Il salotto degli Autori” e del quotidiano online “Alessandria Today”. Dopo i vari riconoscimenti ottenuti in concorsi letterari nazionali ed internazional (vincitore del Concorso Nazionale “Fuori dal Cassetto” 2019 e del Concorso Letterario Internazionale «Trofeo Penna d’Autore» 2018, nell’ambito della letteratura giallo/noir, è risultato vincitore del Concorso Notti Nere 2017 e finalista del Concorso Giallo in Provincia 2017 e del Premio Giallo Indipendente 2018.), Bruno Volpi ha affrontato la stesura del romanzo L’occhio di drago recentemente pubblicato da Erba Moly Editore
Protagonista del romanzo è Luigi Badalotti del Commissariato di Alessandria, che si trova ad affrontare un’indagine per l’omicidio di un avvocato, Massimo Rastelli, noto in città non soltanto per le indubbie capacità professionali, ma anche per una condotta di vita alquanto sui generis. Il caso, che era apparso fin da subito alquanto enigmatico, si complica ulteriormente alla luce di un secondo delitto, questa volta ai danni di un noto professore universitario, Francesco Manenti, rinvenuto accoltellato nei giardini di fronte alla stazione ferroviaria, alcuni giorni dopo il primo omicidio. Mentre già si diffonde l’incubo del serial killer che colpisce esponenti dell’alta borghesia cittadina, Badalotti, deve far tesoro di una serie di indizi che potrebbero portare un po’ di luce sull’indagine. Ed ecco, in mezzo ai tanti personaggi, comparire un gioiello, “l’occhio di drago”, legato ad una crudele storia accaduta circa vent’anni prima. Sullo sfondo della vicenda una città alla quale il commissario è particolarmente legato per averla conosciuta da ragazzo, durante le vacanze estive trascorse presso una prozia residente ad Alessandria. Una città con cui Badalotti appare subito in sintonia, che riflette il carattere del funzionario, votato alla sostanza più che all’apparenza, solitario ma capace di grandi risultati. Così tra nebbie, ricordi della giovinezza e ottima gastronomia, Badalotti accompagna il lettore alla scoperta di una città che forse non ha le caratteristiche per stupire l’occasionale visitatore, ma sa conquistare chi abbia la pazienza di scoprirla ed assaporarla giorno dopo giorno.
Buona lettura con uno stralcio di L’occhio di drago.
SECONDO
Alessandria, 10 aprile, ore 18:15.
L’ispettore Gianetti aveva appena terminato di rimettere in ordine la scrivania, come era solito fare ogni sera, prima di lasciare il commissariato.
Aveva raccolto le varie carte nei rispettivi fascicoli, riponendo il tutto nell’armadio color carta da zucchero che si trovava all’angolo opposto del piccolo ufficio, quello che il suo superiore gli aveva messo a disposizione fin dal giorno del suo approdo al commissariato.
Dopo aver sistemato i fascicoli in ordine alfabetico, si era dedicato al materiale di cancelleria, ritenendo insopportabile che rimanesse sparso, in modo disordinato, sul piano della scrivania; aveva riposto stilografiche, matita, gomma, temperino e un righello nel primo cassetto; la pinzatrice, con i relativi punti di ricambio, era finita, come sempre, nel secondo.
Un’ultima occhiata di verifica qua e là, ed eccolo pronto ad uscire. Ad attenderlo una serata che si annunciava assai piacevole! Sara, l’istruttrice di arti marziali che aveva conosciuto qualche mese prima in palestra, oltre a mantenere fede, anche nei loro incontri privati, alle aspettative di gagliardia fisica che lui aveva immaginato vedendola in azione, si era rivelata un’ottima cuoca.
Di origine siciliana, Sara aveva conservato le tradizionali attitudini culinarie delle donne della sua terra. Quei piatti, così piacevolmente piccanti, erano stati, per diverse sere, il preludio ideale ai loro appassionati “dopo-cena”.
- Buonasera, commissario, se non c’è nulla di urgente, io andrei! –
- Vada pure, ispettore, ci vediamo domani mattin Buona serata! –
Nonostante la loro convivenza forzata durasse ormai da quasi due anni, nessuno dei due aveva preso l’iniziativa di passare al “tu”. Il commissario Luigi Badalotti, col suo stile british, non ne aveva mai avvertito la necessità. L’ispettore Mario Gianetti, che lo avrebbe desiderato, non fosse altro per un naturale desiderio di complicità con il diretto superiore, non aveva mai osato proporlo. Più che il rispetto nei confronti del superiore, lo aveva frenato il timore di trovarsi di fronte, anziché ad una risposta negativa, che forse Badalotti non gli avrebbe mai dato, ad un repentino cambio del discorso o, peggio ancora, ad un imbarazzante silenzio.
Chiunque fosse entrato in quell’istante nell’ufficio del commissario avrebbe avuto la netta sensazione di trovarsi sul set di una commedia all’italiana.
Il commissariato di Alessandria si reggeva, infatti, sull’operato di due poliziotti che come carattere e modus operandi erano agli antipodi. La diversità che aveva caratterizzato da sempre le coppie vincenti: Sherlock e Watson, Stanlio e Olio, Coppi e Bartali.
Mario Gianetti, ventotto anni, fisico asciutto e prestante, appassionato di immersioni subacquee, sempre abbronzato, sembrava un modello per una sfilata di sartorie per poliziotti. Il suo capo, il commissario Luigi Badalotti, nella classifica degli aspiranti modelli si trovava invece in piena zona retrocessione. Quarantatré anni, piccolo, due folti baffi neri a compensare la quasi totale assenza di capelli, fatta eccezione per una massa di riccioli grigi che gli coprivano la nuca fino a metà collo. La pancia, che durante gli ultimi anni era cresciuta ogni giorno in modo impercettibile, ma costante, rendeva ormai un lontano ricordo una taglia inferiore alla cinquantaquattro.
TERZO
Alessandria, 10 aprile, ore 18:30.
Esistono diversi tipi di mare.
Luigi Badalotti, commissario di Polizia presso la questura di Alessandria, ne conosceva almeno quattro.
Il primo era il mare di Sestri Levante. Ci era andato la prima volta quando aveva quindici anni. La zia dell’amico Gianfranco li aveva ospitati per tre settimane. Vi erano tornati l’estate successiva. E così, fino agli anni dell’università. Era il mare della giovinezza.
Arruolatosi in Polizia aveva scoperto il mare a quadretti. Assegnato a Vercelli, ogni anno, da aprile fino all’estate, vedeva le gazzelle correre su strisce d’asfalto tra due distese d’acqua quadrettate da margini erbosi.
In seguito era venuto il mare di Bordighera. Il suo primo incarico da commissario. Le lunghe passeggiate in spiaggia di primo mattino. La relazione con Loredana.
Avevano condiviso molto: il credo politico, la passione per il cinema d’autore, la giustizia come valore assoluto.
Avrebbero potuto sposarsi. Avevano cullato quel progetto senza mai metterlo in pratica. In fondo, però, era stato meglio così. Troppe cose in comune per poter essere una coppia.
Il quarto mare era la nebbia. L’incarico ad Alessandria gliela aveva fatta riscoprire. Era come trovarsi in un grande nebulizzatore. Non c’era modo di ripararsi da quelle minuscole goccioline che fluttuavano nell’aria.
- Commissario, si compri un bel cappello, che qui
scarnebbia! –
L’agente Ruggero Nobiltà aveva usato proprio quello strano verbo, scarnebbiare, per mettere in guardia il nuovo commissario dalle insidie che la città tra i due fiumi, Tanaro e Bormida, avrebbe potuto riservare.
- Nobiltà, cosa vuol dire quella parola che hai usato? –
- Scarnebbia? Commissario, scarnebbia è quella cosa che gli manca un cicinino per essere nebbia e un altro cicinino per essere pioggia! –
L’overdose di cicinini aveva indotto Badalotti ad astenersi dal porre ulteriori domande. Le occasioni per socializzare con quel mare dal nome inconsueto non sarebbero di certo mancate.
I mesi al commissariato di Alessandria erano scivolati via veloci, come i fotogrammi di una pellicola di un film degli anni trenta. I mari andavano e tornavano a loro piacimento. Durante la giornata non si palesavano quasi mai, per poi ripresentarsi, inaspettatamente, al calar del sole.
Non accadeva sempre. Nelle giornate dense e faticose non vi era spazio per altri pensieri. I neuroni se li erano già spartiti le preoccupazioni per le indagini, tutte quelle scartoffie impilate più o meno ordinatamente sulla scrivania.
I mari sceglievano giornate più tranquille. Non che fossero così frequenti! Tutt’altro!
Anche per questo, Badalotti ci si abbandonava
volentieri. Lasciava che le immagini della sua vita scorressero come le diapositive di un viaggio memorabile. Talvolta in rigorosa sequenza cronologica, più spesso mescolate, come in una playlist di brani musicali. Così accadeva che la chiesetta bordigotta di Sant’Ampelio sfumasse nelle svettanti torri della basilica di Sant’Andrea a Vercelli, che le colline del Monferrato scivolassero fino a mare, nella Baia del Silenzio.
Piccole pause di ristoro. Quasi un ritiro spirituale. Un anestetico che riportava tutto il resto al giusto grado di preoccupazione.
Quella sera del 10 aprile, poco prima del tramonto, l’anestetico era lì, ad esercitare il suo prezioso effetto. – La quiete prima della tempesta! Chissà quale altra rogna arriverà domani? – aveva pensato Badalotti.
Contravvenendo alle previsioni del commissario, la tempesta non avrebbe atteso una nuova alba. Sarebbe arrivata qualche ora dopo, col suo carico di sangue e mistero, annunciata da uno squillo di telefono al centralino del commissariato.
QUARTO
Alessandria, 10 aprile, ore 18:30.
Gianni era stato un degno avversario. Come sempre.
Aveva combattuto con la tecnica che lo aveva sempre contraddistinto, fin da giovane. Niente da fare, però. Dopo un primo set molto combattuto, terminato 7-6 al tie-break, nel secondo non c’era stata partita.
- Mi spiace, amico mio, ma il miglior tennista dell’Olimpia rimango sempre io. – sussurrò tra sé e sé.
L’acqua della doccia scorreva fresca a solleticare i pensieri di gloria dell’avvocato Massimo Rastelli. Dopo una partita così tirata era quasi d’obbligo indugiare qualche minuto di più sotto quella piacevole cascata. La doccia dello sconfitto, invece, era stata molto più veloce.
- È scappato via con la coda tra le gambe, l’eterno sconfitto! Non li sopporta proprio i miei sfottò! – Una sonora risata riecheggiò, amplificata, nello spogliatoio ormai vuoto.
Rastelli osservò quella distesa infinita di armadietti. Nella penombra della luce fioca dello spogliatoio, per un attimo, gli parve di trovarsi nell’archivio di una vecchia biblioteca.
Si soffermò per qualche secondo a contemplare il proprio fisico, scolpito dalle fatiche della palestra, abbronzato dall’ultima, indimenticabile, vacanza alle Barbados. Infilò l’accappatoio e si accostò al proprio armadietto. Da sempre il primo a sinistra, nello spogliatoio maschile. Esclusiva per il miglior tennista dell’alta borghesia cittadina.
Si era fatto tardi. Poco male, lui di tempo a disposizione ne aveva da vendere. E poi, si erano dati appuntamento proprio lì. A quell’ora lo spogliatoio restava sempre deserto. Il luogo ideale per affrontare questioni spinose senza rischiare di essere ascoltati.
D’altro canto, però, avvertiva un desiderio, quasi palpabile, di andarsene presto da quel luogo. Era come se la doccia avesse spento gli ardori del match e, con essi, anche la sicurezza di pochi minuti prima.
Si guardò intorno, come se avesse avvertito la presenza di qualcuno. Dalla sua posizione riusciva a controllare solo una parte del locale. Un’infilata di alti e grigi armadietti gli impediva di vedere gli altri settori dello spogliatoio.
Sfilò l’accappatoio e fece per riporlo nel borsone sportivo blu. Il blu, il suo colore preferito. Avvertì un fruscio dietro di sé. – Sei tu? Vieni avanti, sbrigati, che ho fretta di andarmene! –
Non fece in tempo ad aggiungere altro, né a voltarsi.
Avvertì una pressione sulla schiena e una fitta intensa proprio in mezzo alle costole. Non gli riuscì neppure di urlare. Cadde faccia in avanti, trascinando con sé il borsone aperto.
L’ultima immagine fu il pavimento che iniziava a macchiarsi di rosso e un oggetto che ricordava l’occhio di un felino; una mano guantata lo stava sistemando accanto al suo corpo ormai esanime.