Grigi: giocare al calcio o giocare al pallone

Grigi: dal libro Cuore alla tragedia del Poseidon CorriereAldi Jimmy Barco
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Sono sincero: il primo tempo dell’esordio casalingo dei Grigi contro il Gozzano non mi era piaciuto granché e forse, almeno in questa circostanza, il Mocca ha finito per esaltare i giocatori ospiti e risultare indigesto ai nostri, al punto che il Gozzano nei primi 45’ ha corso, sudato, sbuffato e sofferto come mai farà più durante le partite a venire. Poi è arrivata la ripresa e tutto si è aggiustato: i novaresi sono inevitabilmente calati, i Grigi si sono rinfrancati e il Mocca è ritornato un prezioso alleato dei mandrogni. Purtroppo a rovinare la festa è arrivata la rete del pareggio ospite preceduta dal doppio giallo patito dal nostro puntero. Un solo punticino dunque e in programma un viaggetto a Carrara dove il grande Baldini ci aspettava furente per riparare le crepe emerse nella sonora sconfitta dei suoi patita a Pontedera.

I rischi quindi di tornare sconfitti dalla Versilia (e quindi rimanere con un punticino in classifica dopo due turni) erano alti. Ma c’era una domanda che mi ronzava in testa: la nostra squadra è più simile a quella vista contro il Gozzano nel primo tempo o è invece è autentica l’immagine che ha dato di sé rimontando e poi sopravanzando poi i novaresi?

Perché la prima ha fatto un’enorme fatica a giocare al calcio mentre la seconda, al netto degli episodi, al calcio invece ha giocato per almeno mezzora su 50’ minuti. Direi, facendo gli scongiuri, temendo le illusioni ottiche e i tentativi di vedere solo quel che vorrei vedere, che la squadra vista a Carrara sia figlia del secondo tempo giocato al Mocca la settimana prima. Un collettivo costruito, condotto e allenato per “giocare al calcio”.
Poi vedremo fino a che punto riuscirà a farlo, se riuscirà a farlo ai massimi livelli e se ci saranno compagini nel nostro girone in grado di fare meglio (o molto meglio) di noi. Si analizzerà in futuro perché si gioca bene o perché si gioca male, se è possibile migliorare e magari come e dove limitare i difetti ma, soprattutto, se gli equilibri della nostra squadra sono di riferimento e, se non lo fossero, quali interventi fare per farli diventare. Al momento ci troviamo davanti ancora a materiale grezzo, non c’è ancora omogeneità fra i vari elementi (leggasi giocatori), come è logico che sia in questa fase della stagione e dopo aver cambiato tanto rispetto al passato.

Ma una qualità, almeno per me, fondamentale mi pare di averla intravista: la disponibilità di questo gruppo a “fare la partita”, ad assumersi rischi e responsabilità annessa la ricerca di equilibri intelligenti fra le varie fasi di gioco.

Nel campionato scorso avevo chiesto dopo cinque giornate la testa dell’allora mister D’Agostino. Infatti in allora, al di là delle palle che ci venivano propinate e dal piacere di molti di spacciarle al prossimo come veritiere, non vedevo segnali di quna ricerca dignitosa ed essenziale che invece, seppur ancora in fase nebulosa, penso di vedere oggi in casa mandrogna.

E vorrei sgombrare subito il campo dagli equivoci: sto parlando di caratteristiche di squadra e di atteggiamenti che con le qualità tecniche dei giocatori c’entrano poco o nulla. Perché si può perdere dignitosamente giocando al calcio con undici giocatori scarsi per 4-0 e vincere 6-0 giocando “al pallone” con undici fenomeni. Sapete qual è il problema? Che se giochi al calcio puoi pensare di raggiungere un obiettivo a fine stagione connaturato con la bontà del tuo organico mentre se ti limiti a “giocare al pallone”, magari pur avendo a disposizione nugoli di giocatori di alta scuola, alla fine ti ritroverai con un pugno di mosche in mano.

Lo so, insegnare a giocare a calcio significa predicare in tutti gli allenamenti concetti, dispositivi organizzativi, studio dei tempi e degli spazi ideali di gioco, trovare l’attenzione e il linguaggio per risultare interessanti e convincenti presso l’orda di discepoli i quali, dopo il riscaldamento, sarebbero più disponibili ad un torneo giallo di calcio-tennis. E per i calciatori significa invece un’applicazione maniacale delle indicazioni, acquisire la consapevolezza di diventare un meccanismo di una macchina nella quale diventi utile a tutti i tuoi compagni e loro altrettanto per te, lavorare come un negro per arrivare a compiere poi in partita gesti utili ed automatici.

Per arrivare a questo punto non ci si mette due giorni ma una stagione di sacrifici, lacrime e sangue. Problema: mica tutti sanno insegnare o vogliono sacrificarsi per imparare, migliorarsi e rendersi utili davvero.

Al Mocca domenica per la terza di Campionato arriva il Renate, società che in estate, al contrario della politica di questi anni, ha deciso di fare un salto di qualità per scalare le gerarchie del girone ed è, dati alla mano, la squadra più in forma tra le 18 del Nord Ovest. Con una settimana di lavoro in più nelle gambe e nella testa, magari con un Cosenza in difesa, con l’attacco al completo e con l’aiuto del Mocca sarà una partita tra big e vedremo se il lungo e impegnativo lavoro in profondità di Scazzola procede.