Il Torino in Europa: da Ciccio in porta all’impresa del San Mames. In attesa di nuove storie da raccontare [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

 

La frittata i granata l’han fatta nella gara d’andata, al Comunale. Perdendo 2-1 contro i tedeschi, che pure erano favoriti, anche per qualche scelta di formazione che sarà molto discussa. Radice infatti, già costretto a rinunciare a Eraldo “piedone” Pecci infortunato, aveva anche lasciato in panca Paolino Pulici il formidabile bomber preferendogli Garritano, salvo mandare “Puliciclone” in campo quando attorno al ventesimo del primo tempo aveva dovuto sostituire “il poeta” Claudio Sala, infortunato.

Per proseguire la propria avventura nella Coppa dei Campioni ‘76-’77, la prima mai disputata, il Torino avrebbe dovuto andare a fare l’impresa al Rheinstadion di Dusseldorf, dove si giocherà il ritorno.

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Il Torino torna dunque a giocare in una coppa europea, e lo fa al Moccagatta portando il grandissimo calcio anche a casa nostra. In attesa della partita di giovedì contro gli ungheresi del Debrecen (viene da una città di circa 200mila abitanti, verso il confine con la Romania), ripercorriamo la non fittissima storia delle apparizioni dei granata nelle coppe, una storia iniziata negli anni sessanta e culminata con la disgraziata doppia finale contro l’Ajax, quella che è consegnata all’iconografia granata con la sedia brandita verso il cielo dal “Mondo”.

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La prima volta in assoluto risale giusto a cinquantacinque anni fa, stagione 1964-65, in panchina il “paron” Nereo Rocco, il trofeo è la Coppa delle Coppe, e l’illusione dura fino alla terza partita di semifinale. Già, la terza, che non era ancora in vigore la regola del gol in trasferta dal valore doppio, e quello segnato contro il Monaco 1860 là oggi sarebbe bastato per andare in finale, dopo il 2-0 al Comunale (aveva aperto le marcature Roberto Rosato, lo stopper che sarà vicecampione del mondo con la nazionale di Mexico ’70) e la sconfitta 3-1 in Baviera. Invece si dovette decidere con lo spareggio, e quale campo più neutro della Svizzera. Si rigiocò al Letzigrund di Zurigo, più famoso per la pista di atletica magica su cui sono stati stabiliti tanti record del mondo e infatti, a proposito di tedeschi lì nel 1960 aveva fatto quello dei 100 Armin Hary, il campione olimpico di Roma, l’uomo coi riflessi così pronti che si sospettava bruciasse la pistola dello starter.

Il risultato dello spareggio non lascia adito a discussioni. Lido Vieri battuto due volte, di lui Gianni Brera scriverà: “Grande portiere sarebbe, quel toscanaccio, se non fosse emotivo come una monaca.”

Anche un po’ di Alessandria in campo in quella semifinale col “nostro” Fossati, in una squadra che letta ora è di tutto rispetto, con capitan Ferrini, in difesa oltre a Natalino Poletti Puja e il già citato Rosato, a centrocampo anche Gigi Simoni a supporto del centravanti Hitchens e dell’estro di Gigi Meroni.

Insomma, 2-0 e in finale i bavaresi a perdere col West Ham capitanato da Bobby Moore che un anno dopo alzerà un altro trofeo, ancora più prestigioso, da capitano dell’Inghilterra campione del mondo proprio contro la Germania.

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Per tornare in una semifinale i torinisti dovranno aspettare più di venticinque anni. Un’attesa indubbiamente lunga ma premiata dalla soddisfazione di eliminare il Real Madrid. Coppa Uefa 1991-92, due italiane in semifinale, una è il Genoa che nei quarti è andato a vincere addirittura ad Anfield con una doppietta di Pato Aguilera (che vestirà pure la maglia granata in una carriera tanto piena di talento quanto burrascosa). Andata al Santiago Bernabeu, giorno fatidico: 1° aprile. Lo scherzo una volta tanto non riesce, i granata lo accarezzano per soli due minuti perché al gol del vantaggio di Casagrande replica il talentoso rumeno Hagi e, dopo appena cinque minuti, fissa il punteggio sull’1 a 2 lo stopper Hierro. Tutto rinviato a quindici giorni dopo. Si gioca dell’infelice Delle Alpi, il capolavoro di bruttezza costruito per i Mondiali del ’90 (ah, quando ancora si poteva sprecare denaro senza controlli!).

L’eroe di giornata è il piccolo affusolato instancabile Luca Fusi: suo il gol del 2-0 e biglietto per la finale con l’Ajax strappato.

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Lo storico scudetto del 1976, il primo vinto dopo i successi del Grande Torino (peraltro caduto, in un’era in cui le coppe europee erano ancora di là da venire, di ritorno da una partita internazionale di prestigio col Benfica in onore del suo capitano Ferreira, quel 3 maggio del 1949), aveva finalmente concesso l’accesso all’ambita Coppa dei Campioni, all’epoca rigorosamente riservata a chi vinceva l’anno precedente il campionato e che sono due italiane, anzi le due milanesi, avevano vinto fino ad allora.

Arrivavamo dagli anni del dominio di Ajax e poi Bayern Monaco, in lizza solo come detentore perché in patria lo aveva battuto il Borussia di Mönchengladbach, la squadra che avevano conosciuto per la famosa sfida “della lattina” con l’Inter, e di cui in tanti avevano apprezzato il biondo, estroso, lungocrinito Netzer, intanto andato a dirigere il centrocampo del Real non dopo un’ultima magia con quel gol vittoria nei supplementari della finale di coppa coi nemici del Colonia che aveva aumentato, se possibile, l’amore e il rimpianto tra i tifosi dei “puledri”.

E proprio i bianco-neroverdi toccarono agli ottavi ai ragazzi di Radice che si erano liberati dei campioni svedesi del Malmö non senza parecchie difficoltà, decisivo il gol al 90’ dell’andata di Ciccio Graziani.

Ciccio diventerà l’eroe (senza fortuna, come troppo spesso succede coi granata) della partita di ritorno, giocata come detto a Dusseldorf. Niente da fare, impossibile ribaltare il risultato sfavorevole del Comunale, ma quanto pathos in quello 0-0 con ben tre espulsi del Torino compreso il “giaguaro” Castellini, così che il pesante maglione giallo lasciato dal portiere lo dovette indossare proprio Graziani, protagonista di una spettacolare parata (di piede, naturalmente) su Simonsen che aveva tirato a colpo sicuro. Il danese, che a fine stagione vincerà il premio come miglior giocatore europeo battendo Kevin Keegan e un giovane francese di nome Michel di cui avete sicuramente sentito parlare, non era l’unico fuoriclasse di quel Borussia. C’erano campioni del mondo di Monaco ’74 come Jupp Heynckes, l’elegante Bonhof o il terzino Berti Vogts, tanto duro in campo quanto sensibile fuori. Meno sensibile, temo, un giovane che aveva già conquistato il ruolo di titolare inamovibile, quell’Uli Stielike che come Netzer finirà a Madrid, e che incroceremo nella finale del mondiale di Spagna (si ricorda una sua entrata particolarmente fetente ai danni di Oriali).

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Fino all’ultimo eroismo, almeno a oggi, la rocambolesca vittoria in un altro stadio leggendario, il San Mames dove con la maglia dei padroni di casa giocano solo ragazzi baschi, una scelta forse fuori dal tempo ma che ha il sapore del mito. Come l’impresa dei granata che andarono là a vincere nel febbraio 2015, un 3-2 di quelli epici, la prima vittoria in assoluto di una italiana a Bilbao, con in campo Gazzi che il Moccagatta dove il Torino si gioca l’Europa lo calpesta ora con la casacca grigia.

Buona partita, dunque, giovedì, sperando sia il prologo di un’altra storia da raccontare.