Succede ad Alessandria, in Piemonte, nel 2019.
Succede nella città che poco più di un mese fa ha ospitato il suo primo Pride.
Succede nella Regione che ha istituito un fondo di assistenza legale per coppie omogenitoriali.
Succede durante il ricovero in un Ospedale Pubblico.
Succede che il compagno del paziente venga allontanato dalla stanza, che gli vengano detti orari sbagliati di visita e che le parole della coppia vengano messe palesemente in dubbio.
Succede che si insista con eccessiva foga e poco tatto sulla negatività del test HIV ed epatiti.
Succede che aprendo la busta con la lettera di dimissioni alla voce anamnesi, dopo le allergie, compaia la specificazione “omosessuale. Compagno stabile”.
Come Non Una Di Meno, di fronte a questi fatti, non possiamo che ribadire quanto occorra smascherare la violenza sociale che impone di riprodurre i soli generi binari – uomo/donna – a sostegno di un’eterosessualità obbligatoria e ci chiediamo quindi, se lo stesso trattamento venga riservato alle tante coppie eterosessuali che quotidianamente, per i più disparati motivi, si recano al pronto soccorso dell’ospedale alessandrino.
Riteniamo che l’accesso ai servizi sociosanitari debba avere un carattere universalistico, in questo senso non è più rimandabile un cambiamento dei servizi stessi, per raggiungere una piena inclusione di tutte le soggettività e non solo quelle bianche, giovani, abili, eterosessuali e native.
È assolutamente grave e sconfortante che in un luogo come un ospedale pubblico, nel quale esistono precise norme di tutela della privacy, e da parte di un medico che ha l’obbligo di attenersi a stretti principi deontologici che prevedono la tutela del paziente da discriminazioni, una persona debba subire questi episodi persecutori, solo perché omosessuale. Non parliamo di un’eccezione, anzi di eccezionale in questa vicenda c’è solo il coraggio dell’uomo che, anziché subire e vergognarsi, ha deciso di denunciare pubblicamente l’accaduto. L’evidente condizione di disparità alla quale sono sottoposte le soggettività che non rientrano nella cosiddetta norma, li spinge spesso al silenzio, all’invisibilità, a sopportare le violenze pur di ricevere una cura, mantenere il posto di lavoro o accedere a un servizio.
L’omosessualità non è una patologia fisica né psicologica né psichiatrica. Perché deve essere indicata?
La rabbia cresce pensando alla totale assenza di vicinanza espressa dall’ospedale che, oltre ad un paio di frasi di circostanza, in una posizione di forza e potere, tende unicamente all’autotutela ed alla difesa come un fortino sotto attacco; tanto da virgolettare all’interno di un comunicato stampa la parola discriminato, come a volerne svalutare la gravità e la veridicità. «L’Azienda Ospedaliera è molto dispiaciuta di leggere che un nostro paziente possa essersi sentito “discriminato” in un percorso di cura». Sconfortante è l’Ordine dei medici di Alessandria che parla di «Attacchi gratuiti e sensazionalistici». «È normale prassi» si è anche detto in diverse occasioni in questi giorni, cercando di normalizzare e minimizzare quanto avvenuto e di ridurre tutta la dinamica discriminatoria a quell’”omosessuale” scritto in anamnesi. Come se la prassi fosse garanzia di legittimità ed inclusione, come se le “procedure” che abitualmente violano, ghettizzano, discriminano, non esistessero.
Quando affermiamo che la violenza è sistemica intendiamo dire che le sue forme di espressione sono molteplici e trasversali: toccano infatti tutti gli ambiti delle nostre vite intrecciandosi continuamente tra di loro e questo episodio ne è purtroppo una conferma. Conferma anche di quella dinamica che ben conosciamo che vede la persona che denuncia una violenza (sia essa fisica o psicologica) o una discriminazione colpevolizzata, stigmatizzata per aver sollevato il fatto.
Al fine di rompere la frammentazione e l’isolamento che spesso si crea attorno alle soggettività discriminate riteniamo fondamentale riaffermare l’importanza della costruzione di reti solidali e di mutuo soccorso, riaffermare cioè, contro la barbarie, l’individualismo e la solitudine, la potenza dell’essere in comune, il sostegno, la sorellanza: per questo motivo la porta della Casa delle Donne è sempre aperta.
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