di Enrico Sozzetti
I contributi pubblici sono utilissimi, ma se non c’è un altro aiuto (per primo quello della famiglia) è difficile fare impresa in Italia. Anche quando le idee sono innovative, all’avanguardia, capaci davvero di guardare al futuro e di anticipare le evoluzioni di un mercato sempre più veloce e mutevole. Il fenomeno è trasversale, tocca tutti i comparti produttivi e conferma, in termini negativi, uno dei maggiori ostacoli alla crescita del paese: la difficoltà dell’accesso al credito e l’altrettanta complessità, frutto spesso di una burocrazia rigida e autoreferenziale, della gestione delle risorse pubbliche.
La storia di tre aziende dell’Ovadese, associate all’Agia (Associazione giovani imprenditori agricoli) della Confederazione italiana agricoltori (Cia) di Alessandria, è esemplare della creatività d’impresa, della volontà di innovare e riqualificare attività tradizionali, di crescere e di svilupparsi, ma anche di diffusi limiti del sistema. Eppure gli strumenti non mancano, come il bando 6.1.1 del Psr (Programma di sviluppo rurale) della Regione Piemonte (scade il 15 luglio) dedicato all’insediamento di giovani agricoltori. Anche in provincia di Alessandria sono numerose le domande depositate alla Cia per ottenere i finanziamenti previsti «e il trend numerico si allinea ai livelli nazionali, di circa il dieci per cento di presenza giovane» precisano i responsabili dell’organizzazione guidata dal presidente Gian Piero Ameglio.
Cia Alessandria ha presentato, dal 2016, domande per 45 giovani e 35 di questi hanno ottenuto il contributo di finanziamento, spiega Paolo Barbieri, consulente tecnico Cia. «In questo bando, finora, si sono candidati altri quindici giovani aspiranti agricoltori. Cia Alessandria – aggiunge Barbieri – rappresenta circa 120 aziende condotte da giovani sotto i 40 anni a fronte di circa 1500 aziende associate. Quello che emerge è un dato comune a livello italiano e comunitario: nonostante i contributi pubblici, i giovani presenti nel mondo agricolo sembrano essere sempre pochi. Tra le cause principali: la difficoltà a reperire terreni e le notevoli somme necessarie per acquistare/ ristrutturare le aziende agricole e, di conseguenza, la difficoltà di accesso al credito». Viene definita «buona» la presenza di donne: circa il quaranta per cento, anche grazie alle priorità nelle graduatorie nei bandi Psr.
Le storie d’impresa fotografano una realtà profondamente differenziata. L’azienda aperta nel 2016 da Elisa Mascetti (35 anni, laurea in agraria e specializzazione in agricoltura biologica) a Rivalta Bormida attraverso il bando Psr, con domanda di insediamento e miglioramento, ha ottenuto 50.000 euro di contributi. In un paio d’anni sono stati eseguiti interventi sui fabbricati, acquistate attrezzature per la trasformazione dei prodotti (fra cui un piccolo mulino in legno e pietra per i cereali che ha la capacità di lavorazione di sette chili all’ora) e programmi informatici, una capannina meteorologica e parte degli investimenti sono stati rivolti alla riduzione dei consumi energetici utilizzando tecnologie passive e attive. È stata avviata la certificazione biologica dei prodotti, ma è ancora nella fase di conversione, e l’azienda si è inserita a una rete di vendita tradizionale e online. Su poco più di sei ettari di superficie, tre sono a vigneto (3/4.000 bottiglie di barbera e dolcetto, oltre a vino sfuso e uva venduta direttamente alle cantine) e gli altri destinati a colture di cereali (anche di varietà antiche), orticole e frutticole. Non manca una prima collaborazione con piccole realtà del territorio come un forno di panificazione di Rivalta Scrivia e una panetteria di Alessandria, al quartiere Cristo. «Queste misure del Psr – commenta Elisa Mascetti – vanno bene per chi deve subentrare, ma meno per gli insediamenti nuovi. Secondo me andrebbero riorientate per aiutare i neolaureati, specializzati, ma senza disponibilità economiche sufficienti». L’azienda oggi gestita da Elisa Mascetti è quella originariamente dei genitori, ora in pensione, che seguono e aiutano la figlia con discrezione.
A Lerma c’è l’azienda agricola di Greta Pastorino (32 anni). Nata nel 2016, si sviluppa su quattro ettari, produce piante da vivaio (ornamentali e da frutta), piantine orticole e piante officinali. Tra le colture c’è la lavanda, non molto diffusa sul territorio. Il finanziamento del Psr è stato erogato solo in parte e utilizzato per il miglioramento e la ristrutturazione dei fabbricati per la vendita diretta dei prodotti e il miglioramento del rendimento energetico. Greta ha anche frequentato un corso per certificare l’azienda come Fattoria didattica e può contare su un originale valore aggiunto: varie razze di galline, ovaiole e ornamentali, pecore, capre, oche. Ma non è tutto perché sono presenti alcune razze di galline particolarmente pregiate e rare. C’è la Serama (le origini vengono fatte risalire alla Malesia, è la più piccola al mondo), la Cocincina nana (di origine cinese, è molto docile) e l’Araucana (originaria del Cile, le uova hanno una colorazione azzurra). Complessivamente la produzione di uova si attesta sulla trentina al giorno e sono vendute solo in azienda. In attesa di completare il percorso di certificazione per la Fattoria didattica, Greta Pastorino ha un altro sogno nel cassetto: la produzione di oli essenziali. Il progetto ha però bisogno di un investimento importante, la stima è di duecentomila euro, di cui una parte potrebbe arrivare proprio da fondi del Pst. Burocrazia permettendo.
Ancora sul territorio del Comune di Cremolino, ma a pochi metri da quello di Molare, c’è l’azienda agricola Molare’s. Per raggiungerla bisogna percorrere un tratto di strada sterrata, ma all’arrivo si viene premiati dalla vista sull’appennino e sui dieci ettari di terreno in cui si alternano campi di orzo, vigneti, noccioleti e non manca un apiario con cinquanta arnie. Tutto nasce da un’idea di Paolo Ferrario, 60 anni, imprenditore a Busto Arsizio (l’azienda oggi è gestita dal fratello Luca) per venticinque anni nel settore della plastificazione della carta per l’editoria e il packaging industriale, che a un certo punto ha deciso di cambiare vita, facendo leva sulla passione che aveva maturato per anni: produrre birra artigianale (ha iniziato nel garage di casa). Nel 2010 avvia un microbirrificio a Molare, paese originario della famiglia della moglie, poi due anni fa ecco l’opportunità rappresentata da una vicina cascina. Che viene acquistata, ristrutturata e attrezzata a microbirrificio con un investimento complessivo che ha toccato i seicentomila euro. L’avvio dell’attività segna l’ingresso della figlia Caterina, 25 anni, laureata all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, master in marketing del vino, esperienze a Barolo e Fontanafredda, appassionata di viticoltura ed apicoltura. «Il microbirrificio – racconta Caterina Ferrario – nasce dall’idea di voler accostare le origini agricole della birra a un territorio a forte vocazione rurale. La nostra birra è il frutto dell’incontro tra acque sorgive, materie purissime e la mano del mastro birraio. Il microbirrificio ha deciso di impegnarsi direttamente nella produzione della maggior parte della materia prima utilizzata». L’orzo, una trentina di quintali di raccolto, è inviato per la maltazione al Consorzio dell’orzo e della birra. La produzione, circa duemila litri all’anno, è venduta direttamente in azienda e, in piccola percentuale, a un paio di ristoranti.
Nelle parole di Gian Piero Ameglio, presidente provinciale della Cia, c’è la soddisfazione di chi vede avviare nuove imprese nel settore primario, all’insegna dell’innovazione, ma anche la consapevolezza delle difficoltà. «Gli investimenti, per chi si insedia da zero, sono impegnativi, ma con l’affiancamento dei consulenti tecnici, un business plan ben fatto e la dotazione dei premi di finanziamento pubblico, che hanno regole molto rigide e precise, abbiamo assistito – commenta Ameglio – allo sviluppo e all’evoluzione di aziende qualificate e qualificanti per il territorio alessandrino».