Il trasporto ferroviario locale è notevolmente peggiorato e ci vuole circa un’ora e venti minuti per raggiungere il capoluogo piemontese dalla Bassa Mandrogna.
Per fa passare il tempo mi sono portato una copia di un libro che avevo letto anni fa “il figlio di Bakunin” di Sergio Atzeni, un libro che avevo desiderio di rileggere perché sono quelle letture toccasana per l’anima e per la mente.
Si sa, certe letture a distanza di anni possono lasciare un segno diverso e Atzeni è uno scrittore che il segno lo sa lasciare davvero.
Sergio Atzeni, a mio modestissimo parere una delle migliori voci letterarie del secondo novecento, ambienta i suoi romanzi nella bellissima Sardegna e trae spunto dalla propria passione storica per ricostruire ambientazioni del passato sardo, dall’opera dei Nuraghi fino alle lotte dei minatori del Sulcis e dell’iglesiente a inizio novecento.
La sua straordinaria carriera di scrittore finisce tragicamente nel mare di Caloforte, dove muore affogato il 6 settembre 1995, rimanendo aggrappato a uno scoglio durante un’improvvisa burrasca per alcune ore fino al cedimento delle forze.
Nessun scrittore come Atzeni ha dato prova di così tanto attaccamento alla terra. Certo, ci sono paesaggi che ti colpiscono, fatti che ti coinvolgono. Il tempo sembra fermarsi. Quello che si trasforma nelle storie di Atzeni è la lingua, splendida, tagliente come un rasoio. Faccio fatica a costruire ogni periodo durante la lettura in questa contaminazione ibrida dove il linguaggio diventa bastardo, dove sardo e italiano vanno a braccetto come due morosi adolescenti.
Sì, adolescenti, perché questo è un impeto nuovo, un fiume in piena, una voce diversa per le generazioni che verranno, perché l’attaccamento alle radici ha origine dalla lingua e attraverso la lingua offre la sua visione migliore. Il figlio di Bakunin è tutto questo, è una bellissima trasposizione d’amore per la terra attraverso lotte e conquiste sociali.
Il libro diventò un film nel 1997 con la regia di Gianfranco Cabiddu e narra la vita di Tullio Saba, nato a Guspini intorno agli anni trenta. Tullio vive un’agiatezza che pochi in Sardegna possono permettersi, perché il padre calzolaio ha fatto fortuna vendendo scarpe ai lavoratori della miniera del paese. Il padre, anarchico convinto, parla spesso di un certo Bakunin, rivoluzionario russo che lui ammira. Per questo la gente del paese comincia a chiamarlo Bakunin.
Tullio intanto riceve un’educazione diversa dai suoi coetanei, studia il francese e indossa abiti eleganti. Tutto questo fino a quando il direttore della miniera viene sostituito da un fascista. Il padre perde le commesse e con queste anche la sicurezza economica.
Tullio cambia vita e va a lavorare in miniera, confrontandosi con i disagi dei suoi compagni di lavoro. Anarchico come suo padre infervora gli animi e organizza le lotte tanto da essere licenziato.
Qui mi fermo e torno al punto. This land is your land, diventata in un celebre film “Questa terra è la mia terra”, cantava il celebre Woody Guthrie in una delle sue canzoni più celebri.
La nostra terra ci rappresenta perché è la nostra origine e la nostra storia. Conoscere la storia della propria terra, diceva Atzeni e io lo condivido in tutto e per tutto, è un dovere e un diritto che ognuno di noi non deve e non può rinunciare.