The living dead, una notte lunga mezzo secolo [Il Superstite 424 ]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

Sono giusto trascorsi cinquant’anni da quel film folgorante. E quasi due anni dalla morte del grande maestro George A. Romero. E bisognerebbe sul serio capire e scavare nel più profondo possibile per darsi una risposta niente affatto facile: perché da così tanto tempo il modello filmico de La notte dei morti viventi non conosce requie di sfruttamento? D’accordo, accadde l’incredibile pastrocchio del mancato copyright. Ma è tutto spiegabile con un lapsus? Insomma, qui si tratta di una mitologia che, fra alti e bassi (con alti in sovrappiù), non ha eguali in nessun altro territorio cinematografico.

Ma riordiniamoci le idee facendo un po’ di storia.

Nel 1967, dopo avere fondato con John A. Russo, Rudy Ricci e Gary Streiner la Image Ten Production, George A. Romero  gira in sette mesi il più seminale horror film della storia, La notte dei morti viventi. E l’anno dopo il film esce, trionfalmente in tutto il mondo, senza copyright. Una faccenda da strapparsi tutti i capelli uno alla volta, dato che oggi, nel 2019, i morti viventi alla Romero ancora impazzano in ogni settore dell’intrattenimento, dal cinema alla TV, dalla letteratura ai comics. Producendo una montagna di danaro. Allora ben si capisce la furia compressa di George quando dichiarò: «Dannazione, sono dappertutto.  The Walking Dead, World War Z, i giochi, gli spot… Basta, è troppo. Quando (gli zombi) usciranno per sempre dalla cultura pop, tornerò a occuparmene»[1].

La vicenda del mancato copyright è un’autentica pochade e George la raccontò così: «Finito il film, lo avevamo registrato e avevamo stampato il copyright proprio assieme al titolo, invece che in fondo o in un altro posto. Così, quando il titolo è stato cambiato – in origine era Night of Anubis, poi cambiato in Night of the Flesh Eaters (ma già esisteva un Flesh Eaters del ’64 di Jack Curtis) -, le copie vennero fuori senza alcun copyright. Ci volle un po’ di tempo prima di accorgersene, ma in breve tempo tutti stavano vendendo Night of the Living Dead al drugstore locale. Per anni abbiamo combattuto in tribunale. E abbiamo perso la causa definitivamente solo pochi anni fa: non ne volevamo più sapere»[2].

Per spiegarla ancora meglio di Romero, la Image Ten aveva sì messo l’avviso del copyright nei titoli di testa della prima versione dell’opera, quella intitolata The Night of the Flesh Eaters. Ma quando si passò il film alla distributrice Continental Distributing, braccio operativo della Walter Read Organisation, e si decise il cambiamento in The Night of the Living Dead, si rimossero tanto il vecchio titolo che l’avviso di copyright. Prima che Romero & C. se ne avvedessero, il film era ormai di pubblico dominio. In tutti i sensi. In primis, nessuno della Image Ten, Romero in testa, ha mai visto i profitti reali di The Night, poi forma e sostanza di The Night sono stati saccheggiati da chiunque sin da subito con un’invasione spudorata di morti viventi i cui autori spesso confondevano intenzionalmente le acque spacciando parentele tematiche con quel mondo nato a Evans City, Pennsylvania.

Se da un lato si potrebbe cavillare sostenendo che The Night alla fine deriva dall’originale nucleo narrativo di I am legend di Richard Matheson, ispirazione sempre ammessa da Romero (e, insomma, con un certo sadismo, riesumare il vecchio adagio “chi la fa l’aspetti”…), in verità l’ingiustizia è palese. Sul piano professionale e sul piano umano. Perché iniziò una tempesta di cause all’esterno e malumori interni. Contro la Walter Read Organisation, poco scalfibile dopo essere stata acquisita nel 1981 dalla Columbia, e litigi dentro la Ten Image. In verità gli ex ragazzacci ne hanno sempre parlato poco, ma la storia ce lo comunica per conto suo. L’esperienza della Image Ten terminò nel 1974 e i due protagonisti principali, George e John A. Russo, restarono giuridicamente gli autori di un titolo-marchio di pubblico dominio. E se lo spartirono, presumiamo dopo una lunga serie di discussioni. Russo, che dal film  trasse anche una novelization pubblicata in Italia da Armenia nel ’78, mantenne la proprietà del dittico verbale “living dead” e a George restò l’usufrutto del termine dead”.

Peraltro ognuno aveva ben chiaro che per strappare The Night alla situazione di pubblico dominio, si sarebbe dovuto in qualche modo rifare il film. Ci arrivarono ambedue, in modalità e in epoche diverse, anche se  ovviamente presenti per contratto su ambedue i fronti.

Nel frattempo George fonda con Richard Rubinstein la Laurel Entertainment per la quale realizza una serie tv intitolata The Winners, 17 documentari su personalità eminenti dello sport americano tra cui O.J. Simpson e Bruno Sammartino, e poi gira Martin nel ’77 seguito da Dawn of the Dead nel ’78, vero sequel di The Night dove appunto i dead non sono più living, ma soltanto “zombi” come recita l’indovinato titolo italiano, dietro il quale (e non solo a quello) si staglia l’ombra di Dario Argento. Una “Z” che ancora oggi funziona come identificazione di un genere.

Invece Russo, con un pezzo di Ten Image, Rudy Ricci e Russell Streiner, scrive The Return of the Living Dead, che sarà diretto nel 1985 da Dan O’Bannon, dando vita a una serie forte di quattro titoli molto più sbilanciata rispetto all’opera di Gorge sul fronte grottesco e parodistico. Un tono a sentire John Russo [3] imposto dalla produzione, ma che differenzia di molto l’approccio autoriale, facendo sì che i veri zombi che conteranno per l’evoluzione del genere saranno soltanto, per fortuna, quelli di George. Però l’operazione di Russo riscuote un notevole successo al botteghino, viziato anche dal fatto che quei living dead stampati sulle locandine richiamano alla mente il capostipite. Così Rubinstein non ci pensa due volte e intenta causa con la finalità di impedire l’utilizzo della dicitura originale, ma nella spartizione dead vs living dead gli arbitri della MPAA danno ragione al gruppo di Russo.

Finalmente per George arriva il momento di raddrizzare il torto. Nel ’90, producendo e riscrivendo il filologico remake di The Night firmato da Tom Savini, con il quale riesce a ottenere il controllo del titolo e a capitalizzare un po’ di più dell’immortale capostipite. Un controllo che ovviamente si ferma al 50% perché Russo, oltre a detenere lo sfruttamento sui living dead e a presenziare come produttore nel rifacimento di Savini, realizza il suo remake otto anni dopo con la cosiddetta “edizione del trentennale”, aggiungendovi del nuovo girato in modo da poter avere anche lui la possibilità di registrare il diritto d’autore sulla nuova copia strappandola al pubblico dominio. 18 minuti in più, ma anche un montaggio diverso, che scandalizzano alla lettera (e a ragione) George che non firma l’operazione: le scene aggiunte sono palesemente un tardivo e posticcio prolungamento, a cominciare dalla diversissima qualità e della “grana” del bianco e nero. E il montaggio non regge, per quanto alcuni zombie del 1988 siano abbigliati alla stessa maniera di quelli di trent’anni prima. Ma non si agganciano al capostipite nemmeno i nuovi testi: un prologo dove ci viene raccontato che il primo morto vivente del film, quello che attaccava Barbara e ne uccideva il fratello, era uno stupratore finito sulla sedia elettrica e uscito dalla tomba qualche secondo dopo essere stato benedetto da un prete di colore, il reverendo Hicks; un intermezzo che descrive un incidente automobilistico con gli occupanti della macchina che riprendono vita e vanno a ingrossare le schiere che assaltano la mitica fattoria; e un finale ulteriore in cui, a distanza di un anno dai noti eventi, una giovane giornalista (Debbie Rochon) va a intervistare il reverendo Hicks dell’inizio che, pur azzannato da uno zombie, è riuscito a salvarsi con l’ausilio “della preghiera” e si mette a sproloquiare che gli zombie sono stati in realtà degli umani posseduti dei demoni. C’è anche spazio per un tremendo accenno che dal sangue del prete “guarito” si sarebbe ricavato un vaccino per sconfiggere la piaga… Ma non basta. Russo ha eliminato tutta la colonna sonora originale a favore di un nuovo soundtrack composto per l’occasione da Scott Vladimir Licina e giungerà a dichiarare che con le sue modifiche “il film funziona assai meglio del precedente”. Mah…

Come concludere? Che il tempo resta sempre un ottimo galantuomo. Per quanti soldi abbia perso con la grana del copyright, è ancora Romero agli occhi del mondo l’indiscusso padre degli zombi. È lui, e non certo Russo, uno dei grandi maestri dell’horror moderno. L’ho letto da qualche parte e lo rubo: George è stato l’assoluto, indiscusso, Big Bang del mondo dei morti viventi. Tutto il resto è (e sarà) già stato visto.

 

[1]    George Romero vs The Walking Dead e l’inflazione di zombie movie, su Splattercontainer.com/news/14200

[2]    Giulia D’Agnolo Vallan, George A. Romero, Torino Film Festival, Torino 2001.

[3]    Interviste Zombie: John A. Russo, uno dei due padri del genere zombie, www.zombiekb.com/2014/11/