di Enrico Sozzetti
Il 27 febbraio, mercoledì, è la data della lettera che comunica il trasferimento dal primo marzo, venerdì, a un’altra sede. Già in condizioni normali, un giorno solo è poca cosa. Se poi sono incarichi delicati e dalle molte responsabilità, è ben altro. Però se tutto ciò avvenisse con una accelerazione che rientra comunque in un contesto lavorativo e organizzativo coerente con questa velocità non ci sarebbe molto da aggiungere. Ma evidentemente non è del tutto così visto che è sceso in campo il sindacato con Carlo Cervi, segretario di Alessandria – Asti della Cisl Fsur (Federazione scuola università ricerca). La vicenda prende le mosse dalla missiva recapitata a un funzionario, responsabile dell’ufficio didattica e servizio agli studenti, del Digspes (Dipartimento di giurisprudenza, scienze politiche, economiche e sociali) dell’Università del Piemonte Orientale che ha sede a Palazzo Borsalino, in cui si comunica il trasferimento, da un giorno all’altro, al settore amministrazione del Disit (Dipartimento di scienze e innovazione tecnologica), al quartiere Orti.
Sembra che con questo trasferimento, avvenuto dalla sera alla mattina, si possano risolvere molti dei problemi relativi alla dotazione organica del Disit. Nella lettera del 27 febbraio, a firma della direzione generale dell’ateneo, infatti si parla di «esigenze organizzative» e di «forti criticità» che «stanno compromettendo il normale svolgimento delle attività» del Dipartimento. Una persona sola cambierà davvero tutto? Non sembra però che sia così se, come emerge dalla comunicazione sindacale, il funzionario mandato al Disit non svolgerebbe gli stessi compiti del Digspes. «Emerge chiaramente dal decreto di assegnazione degli incarichi al 28 febbraio 2019 – si legge – che al Disit tutte le posizioni di responsabilità sono coperte. È quindi più che ragionevole pensare che le nuove attività che verranno attribuite non saranno professionalmente equivalenti a quelle ultime svolte». Inoltre il Digspes, ed è questo uno degli altri elementi di criticità emersi, sarebbe di conseguenza penalizzato nell’attività amministrativa e in particolare in relazione alla complessa organizzazione della didattica.
Che il nuovo rettore, Gian Carlo Avanzi, avesse intenzione di rispettare, con fermezza e rapidità, alcuni dei punti cardine del programma di mandato è cosa nota. Lo ha sempre detto, prima in campagna elettorale e poi durante quasi tutti gli interventi pubblici. E quello della revisione dell’organizzazione del personale tecnico-amministrativo è uno di questi. Ancora all’inizio di febbraio, proprio ad Alessandria, durante la presentazione del Piano strategico dell’Ateneo 2019-2024 (disponibile sul sito www.uniupo.it), ha affermato che «le attività di carattere tecnico-amministrativo soffrono ancora di debolezze strutturali e organizzative. La riorganizzazione dovrà prevedere una prima fase di mappatura delle attività svolte dall’amministrazione centrale e periferica che comprenderà una job description di area, di ufficio e di singola unità di personale tecnico-amministrativo. L’analisi organizzativa sarà finalizzata a fotografare il ‘qui ed ora’ organizzativo, valorizzare le best practice e intervenire sulle criticità. Allo stesso tempo sarà effettuata una valutazione dei flussi di processo, degli obiettivi da raggiungere e delle prestazioni del processo, con il coinvolgimento del personale tecnico-amministrativo e dei Direttori di Dipartimento». La velocità del provvedimento, però, sta sollevando dubbi in relazione alla legittimità e al rispetto delle norme statutarie e dei regolamenti interni, al punto da mettere in campo anche il sindacato.
Le prime mosse del rettore e della dirigenza stanno aumentando dubbi e domande, con un malessere del personale tecnico e amministrativo che è palpabile. E c’è chi parla esplicitamente di «timore» perché «starebbe emergendo una ambizione di controllo e sorveglianza dei dipendenti». Sulla piazza alessandrina la questione del personale non è poi estranea a un altro dei punti strategici del programma di Avanzi. Quello che parla esplicitamente della «costruzione di un Campus universitario» per cui «bisognerà tenere conto della presenza di edifici già esistenti (palazzo Borsalino e la sede al quartiere Orti, ndr), ma lo sforzo deve essere fatto anche al fine di avvicinare i due dipartimenti in una sola area utilizzando infrastrutture già esistenti, ottimizzandone l’utilizzo». Ma avvicinare Digspes e Disit potrebbe significa, in futuro, chiudere una delle sedi? Quando si parla di «una sola area» le soluzioni possibili non appaiono così tante. Anche perché Palazzo Borsalino è in comodato, mentre la sede del Disit è di proprietà.