Invettiva anti sovranista

Per fine anno 2 ai politici, ma anche a noi cittadini! [Le pagelle di GZL] CorriereAlHo ancora in memoria sul mio p.c. l’articolo-lettera del prof. Bruno Soro, apparso un po’ di tempo fa – mi pare proprio su Corriere Al -, a proposito della probabile prossima presa del potere in Europa da parte dei cosiddetti “populisti” che faranno man bassa di voti dall’estrema destra fino all’estrema sinistra della massa dell’elettorato, in nome della sacralità del voto popolare.

Siamo quindi avvertiti, potendo assaggiare gli esempi già apparsi nei due continenti della cosiddetta civiltà occidentale, ma non solo (pensando all’esempio della Turchia, del Medio Oriente, della Russia e dei Balcani in generale).
Il prof. Soro individua l’origine delle cause di questa rivoluzione in parte imprevista, partendo da quelli che chiama “traumi subiti dalla cosiddetta classe lavoratrice”, che dopo aver assaggiato la speranza di diventare classe media con tutti i benefici portati dalle conquiste sociali come i contratti collettivi di lavoro, le pensioni, l’assistenza sanitaria quasi completamente gratuita, il diritto all’istruzione, le coperture assicurative contro i rischi di malattie, invalidità e disabilità, si trova ora a mal partito, travolta da un terremoto le cui prime scosse hanno portato paura in quasi tutti gli strati sociali, senza neppure dedicare un minimo di riflessione su eventuali nuovi progetti riguardanti il futuro di medio-lungo periodo, per cercare di superare o almeno correggere i danni della globalizzazione incontrollata, della finanziarizzazione dell’economia e dall’avvento della “fabbrica senza lavoro manuale” destinato a portare ad un ruolo sempre più marginale quello che era il nostro fiore all’occhiello e la fonte maggiore di reddito per la classe lavoratrice, cioè il comparto manufatturiero.

La riflessione di cui sopra avrebbe dovuto essere il compito urgente della cosiddetta “classe dirigente” un tempo composta da persone che avevano conquistato il diritto di parlare per le loro riconosciute capacità professionali, per il loro bagaglio culturale, per la loro provata fiducia nelle regole democratiche consolidate nel patto costituzionale repubblicano.

Al contrario, invece, la paura, la sfiducia, il rancore hanno fatto sì che sia stata promossa, senza sottostare ad esami, una nuova classe dirigente fatta anche di gente improvvisata, di personaggi pronti a spacciare qualsiasi cialtroneria come una soluzione a problemi complessi in nome di un mandato elettorale che puzza molto di estorsione e di inganno.

Ma quello che forse più preoccupa quelli che, come il prof. Soro, hanno visto e vissuto certe pieghe del passato susseguenti alla presa del potere di minoranze agguerrite in nome del popolo delle piazze e delle adunate, è la beffa della democrazia che si appalesa nei gesti e nello stile prima ancora che nelle prossime reali conseguenze.

Ho appena letto un saggio della studiosa Michela Murgia riguardo ai rischi per la tenuta democratica della nostra nazione. In modo molto lucido affronta il problema della rappresentanza democratica e ironicamente conclude affermando: “Essere democratici è una fatica immane. Allora perché continuiamo ad esserlo quando possiamo prendere una scorciatoia più rapida e più sicura?”
A volte le democrazie invecchiando nel tempo anziché consolidarsi e affinarsi nel meglio, si logorano e si corrompono, illudendo la gente circa l’inutilità dei compromessi.
Uno dei motivi è la perdita di gran parte della propria memoria, di come e quando si realizzò nel nostro paese uno strumento di controllo delle masse, che al momento attuale potrebbe risultare ancor più pericoloso di allora grazie alla grande esuberanza di strumenti sempre più subdoli di propaganda. Liberando le masse dalle suggestioni delle ideologie si aprono campi ancora più vasti per indottrinare le menti suggestionabili di gente spaventata, che alla fine si lascerà convincere a comprare a scatola chiusa programmi di governo che inevitabilmente renderanno sempre di più il popolo vittima di sé stesso e delle sue contorsioni viscerali.

Essere cittadini di uno stato democratico è molto più faticoso che essere sudditi di uno stato autoritario, perché la promozione a cittadini presuppone uno sforzo di responsabilità e non solo un calcolo immediato di convenienza pigra e sottomessa. Ne sono la prova evidente i racconti di nostri compagni di viaggio che sono venuti qui da noi da paesi come la Romania, fino a pochi decenni fa sottomessi al regime comunista di un dittatore e della sua cerchia di potere.
Dicono che molti fra i loro compatrioti rimasti nella loro patria, dopo quasi trent’anni di governo democratico nella mani di personaggi di dubbia caratura intellettuale e morale, sono paradossalmente costretti talvolta a rimpiangere l’epoca comunista di Ceausescu, quando sì che non c’era la libertà ma lo stato autoritario provvedeva in qualche modo ad un minimo di sussistenza per un popolo che non aveva molta voglia di darsi da fare ma si accontentava di avere poco ma senza sforzarsi di migliorare la propria condizione. Quelli che non si rassegnavano non avevano altra strada che l’emigrazione. La conseguenza è resa evidente nel fortissimo calo del numero della popolazione romena.

Che sia questo anche il nostro destino, visto che molti bravi giovani italiani sono da qualche tempo costretti ad emigrare nei paesi europei più sviluppati?
Coloro che potevano essere la nostra nuova classe dirigente si allontanano da noi, mentre si fanno avanti i mediocri e gli ignoranti. Brutto segno, non è vero professor Soro?
I nostri vecchi, che erano stati a loro volta illusi a suo tempo da una soluzione di scorciatoia politica che, dopo un breve periodo di coinvolgimento anche di personalità di buone doti di cultura e di prestigio morale, scivolò presto nel potere di marionette e di profittatori di regime, con frange anche consistenti di professionisti della violenza, ci misero in guardia bollando di indegnità senza appello quella generazione di gestori del potere degenerato in regime.

Il professor Soro ci ha da parte sua ricordato ciò che avvenne nel momento in cui al popolo italiano intero che si riteneva, forse a torto, dotato di profonda saggezza popolare, maturata in secoli di storia, subentrò il popolo delle piazze, attribuendo a quest’ultimo la delega del potere. Scrive alla fine del suo discorso: “D’altra parte, quando il 10 giugno di settantasei anni fa il Principe degli imbonitori annunciava agli imboniti la decisione irrevocabile dell’entrata dell’Italia in guerra, in tutte le piazze d’Italia risuonò un unico Si! E l’hanno avuta.”
Adesso, accantonata l’idea di marciare su Bruxelles, ci stiamo accanendo su Parigi e dintorni, pur di non guardare ai mali di casa nostra. Possibile che dobbiamo sempre trovare la scusa di un nemico?

Luigi Timo – Castelceriolo