di Cristina Bargero
In un freddo ma soleggiato sabato di gennaio, Torino ha dato un segnale all’intero Paese per la seconda volta in pochi mesi, con una manifestazione a sostegno della TAV di madamin (le organizzatrici di Si, Torino va avanti), ma non solo: esse erano affiancate da sindaci provenienti da tutt’Italia ( da Venezia ad Ascoli Piceno), dai governatori di Piemonte e di Liguria, da sindacati e associazioni datoriali e soprattutto da 30.000 cittadini appartenenti ai più svariati ceti sociali e professioni.
Forse è necessaria qualche notizia in più sull’opera per i non addetti ai lavori. La Tav (sarebbe più corretto chiamarlo il TAV, Treno ad alta velocità) fa parte del più ampio progetto di reti transeuropee TEN-T e ,in particolare, del corridoio Mediterraneo n.3 che collega i porti di Algeciras, Cartagena, Valencia, Tarragona e Barcellona nella Penisola iberica, con l’Ungheria e il confine ucraino, passando per il sud della Francia, l’Italia settentrionale e la Slovenia, con una sezione in Croazia.
Le regioni lungo il Corridoio Mediterraneo rappresentano 18% della popolazione europea ed il 17% del PIL europeo. I vantaggi, una volta compiuta l’opera, consisteranno nella riduzione dei tempi di spostamento per cui il trasporto ferroviario sarà più concorrenziale e conveniente rispetto a quello su gomma, grazie alle maggiori capacità di trasporto ottenuta attraverso treni più lunghi – oltre 750 metri – e pesanti – almeno 2 mila tonnellate. In sostanza i benefici saranno di due tipi: ambientali, da un lato, legati alla diminuzione delle emissioni inquinanti locali e di gas climalteranti e alla di riduzione della congestione stradale e dell’incidentalità, ed economici di lungo periodo, dall’altro, oggi, tuttavia, difficilmente quantificabili da un’analisi costi-benefici che fatica a includere le future esternalità positive.
Ma in quest’occasione, il Sì alla TAV ha assunto un significato che va oltre a quello della realizzazione dell’opera e anche il suo impatto futuro. Ha rappresentato la sveglia di un popolo, quello piemontese, di bogianen, spesso in letargo, che, tuttavia, negli snodi storici importanti ha saputo mettersi in moto, così come è stato più di un secolo e mezzo fa per unificare l’Italia, o negli anni ’80 per porre fine, con la marcia dei 40.000, a una stagione di vertenze sindacali che stava paralizzando Mirafiori.
E quel popolo si è ritrovato in una piazza mite e, al contempo, decisa, in cui Torino è tornata per un attimo capitale in cui “ Acquista un senso questa città e il suo movimento” , fatto di vite vissute piano sullo sfondo”, che chiedono modernità e sviluppo, per essere al passo con le regioni più avanzate d’Europa. Il cielo su Torino sabato splendeva terso.