di Danilo Arona
A Natale sembrerebbe buona tradizione postare il “pezzo natalizio”. Al di là del fatto che Il Superstite veleggia oltre i 400 autoprodotti – il che da solo potrebbe pure spiegare perché una certa vena personale si sia per così dire inaridita -, per l’occasione vorrei proporvi qualcosa sui cavoli miei che possa anche risultare di interesse generale, soprattutto per chi pratica lo strano mestiere della scrittura (che nel mio caso non è mestiere perché non ci campo). Il presupposto allora è la domanda che mi è stata rivolta da un amico, fedele frequentatore delle Aroneidi, un paio di settimane fa, per l’esattezza questa: quand’è che ritorni con un bel romanzone lungo, tipo estate di Montebuio, magari non scritto a quattro mani?
Risposta non facile che tecnicamente potrebbe giovarsi di più appoggi teorici, tipo: ho molto meno tempo di qualche anno fa per le “cose della vita”, sulle quali non affliggo il prossimo; oppure, finché il mondo continua a chiedermi racconti, non mi avanza l’oggettivo spazio per mettere in piedi un romanzo; o ancora, non si agita nella mia mente un’idea così forte e innovativa per nutrire l’operazione.
È tutto (anche) vero, ma nel mio ego profondo, quello che possiede un cantuccio segreto, uno specchio con cui confrontarsi, risuonano (anche) come flebili scuse. Il fatto è che sono bombardato da cupe notizie e pessimi presagi. E mentre qui sono qui che mi arrovello alla caccia della scusa inesistente, arriva l’ennesima e tragica notizia della morte prematura di un amico, Giuseppe Lippi.
Collega della primissima ora nella redazione sparpagliata per l’Italia di Robot edito da Armenia, Giuseppe è stato, fra le altre cose che tutti stanno ricordando, uno degli alfieri – autentici – dell’horror nell’ingrato stivale. Dai quattro numeri della rivista Psyco ai Libri della Paura sempre di Armenia, dagli Horror da edicola in contemporanea con omonima e più “pesante” iniziativa in libreria negli anni ’90 sempre con targa Mondadori, dalle sue ultimate edition di Lovecraft alla conduzione abile e appassionata di Urania nella quale ha spesso aperto con audacia agli altri generi “cugini”, Giuseppe è stato genuino vate e solidissimo faro del fantastico orrorifico, sempre mettendoci la faccia. Celeberrimi alcuni suoi commiati, veri e propri capolavori di commovente dedizione, ad esempio il seguente piazzato alla fine di Per paura della notte di Charles Grant, ultimo numero della collana Horror da edicola uscito nell’agosto del 1991:
Con questo numero la pubblicazione del mensile Horror da edicola viene sospesa, e so che per qualcuno (forse più di qualcuno) sarà un dispiacere. Purtroppo, nel mercato caotico e sovraffollato delle edicole, non sembra esserci un numero di lettori abbastanza alto da giustificare l’esistenza di una collana autonoma, come avviene invece per la fantascienza e la fantasy. Il nostro discorso sull’orrore tuttavia non si chiude qui…
E già il nostro passava ad appetitosi coming soon (Mistbooks e Omnibus del fantastico).
Oppure il più recente congedo (che anche qui non era un vero e proprio addio) da Urania Horror n° 13 (luglio 2017):
… questo volume costituisce l’ultimo viaggio della nostra collana. Purtroppo bisogna fare i conti con la realtà – non solo la realtà dell’orrore – e di tutte le linee uraniche quella con il cerchio nero si è rivelata la più debole sul piano economico… Ma i lettori non devono inquietarsi: come sanno, Urania è sempre stata attenta al lato nero della produzione fantastica e la Mondadori altrettanto. Dopo gli Oscar-horror e gli Omnibus del Fantastico e i supplementi dei primi anni Duemila (passando per Epix), l’attuale serie del cerchio nero è solo la più recente di una lunga tradizione. Siamo speranzosi che l’avventura continuerà, in seno alla stessa Urania o negli Oscar…
Suprema classe, rispetto del lettore, ottimismo. Dietro quelle righe scorgevi un volto amico e sorridente, nonostante la tristezza di un risultato negativo di cui qualcuno poteva pure attribuirgli responsabilità. Ma su tutti vorrei citare le righe finali che chiudevano il leggendario n° 40 di Robot (Copia per recensione, luglio/ agosto 1979), di cui aveva assunto la direzione dopo l’addio di Vittorio Curtoni:
Come chiudere quest’ultimo numero di Robot? A tutti i lettori desidero ricordare le parole del Poeta: «Il dito avanza scrivendo e, dopo aver scritto, passa oltre e tu, con tutta la tua devozione e la tua intelligenza, non potrai cancellare neppure mezza riga, né con tutte le tue lacrime potrai sbiadirne una sola parola»– Omar Khayyam –
Questo era Giuseppe, un gigante di cultura e di sensibilità di cui non si rimpiangerà mai troppo la mancanza.
E adesso vi chiederete che c’entri tanta amarezza con il Natale turbinoso e sfavillante e con il romanzo che pochi si aspettano. C’entra e come: intanto il Natale mica dev’essere sempre allegro e poi sulla sincronicità delle date non ci posso fare nulla. Nessuno ci può fare nulla. Citando Guccini, se uno muore per Natale, è un romanzo scritto male. Però dopo che se ne sono andati nell’Altrove Curtoni, Altieri e adesso Lippi, avverto che tutto questo scrivere che da quasi 50 anni accompagna la mia esistenza ha veramente poco senso. O forse potrebbe averlo, se riuscisse a spiegare anche in minima parte e con clamorosa presunzione il mistero di queste Bocche nel Buio che di colpo si aprono, inaspettate, per rubarci amici, affetti e sodali.
Per dirla con un altro grande che da poco se ne è andato, il regista Nicolas Roeg, l’incedere del tempo, alla fine dei conti, è una pessima, misteriosa faccenda. Degna dell’horror più spaventoso.