di Danilo Arona
5) Il grande personaggio in sottotraccia sarà destinato a diventare un assoluto mito (in sottotraccia). Volerà, in ossequio al suo essere “simbolo del vento”, ne L’esorcista 2 – L’eretico, il sequel del ’77 firmato da John Boorman, primo e ultimo film in cui il Nemico è chiamato per nome (e lo fa testualmente Padre Lamont, quando Regan posseduta gli dice: «Chiamami col nome del mio incubo»), caratterizzato da una strumentale delocalizzazione della sceneggiatura del demone dell’Iraq al continente africano, spostamento geografico e temporale ispirato da Blatty – nonostante la sua totale estraneità al sequel – tramite la generica battuta di Padre Merrin di cui sopra su un certo esorcismo effettuato in Africa dodici anni prima gli eventi di Georgetown.
Poi lo stesso Blatty ne L’esorcista III accenna soltanto a un più che generico “Maestro”. Invece nei due film “gemelli diversi” del 2004, L’esorcista – La genesi di Renny Harlin e il giammai doppiato per l’Italia Dominion –Prequel to the Exorcist di Paul Schrader, Pazuzu c’è e come, solo che nessuno ha l’ardire di chiamarlo con “il nome dell’incubo”.
Val la pena di ricordare l’incredibile esistenza di due film molto analoghi, per quanto diversi. Alla base del tutto la decisione della Morgan Creek che fece in fretta e furia rigirare il prequel de L’esorcista di Friedkin a Renny Harlin, regista di action senza poche sottigliezze, dopo avere giudicato non presentabile sul grande schermo la versione appena ultimata di Paul Schrader.
Il risultato pratico è che abbiamo, caso forse unico nella storia del cinema, da un lato il fracassone e citazionistico Exorcist – The Beginning, uscito al cinema, e dall’altro il raffinato quanto gelido Dominion di Schrader, disponibile solo in DVD originale, a nostro parere preferibile al primo. In ambedue assistiamo all’identico passaggio, quanto mai solare e “iracheno” (anche se ambientato in Africa), con un giovane Padre Merrin intento a scoprire le vestigia di un’antica chiesa cristiana e sotto di essa una cripta dedicata a tutt’altro genere di culto, una sorta di camera della morte di un’antica e sanguinaria deità.
Indovinate chi? Basta guardare la statua appositamente ricostruita per i due film. Anche se mai chiamato per nome (e anche in questo caso si fa un po’ il verso a Friedkin), non esistono dubbi. Stesse ali, stesso muso ferino, identici artigli. Ma già durante la lavorazione lo stesso Schrader aveva ammesso che quel diavolo era proprio Pazuzu. Anzi, in una sequenza onirica eliminata dal montaggio appariva addirittura la faccia di Capitan Howdy, l’alter ego demoniaco di Pazuzu nel primo film.
6) Mentre si tenta vanamente di seppellirlo nelle varie derive de L’esorcista, il demone di Blatty dilaga in altri luoghi e tempi della cultura di massa. Nella musica come protagonista di diverse canzoni di band alternative e come “nome dell’incubo” di almeno due gruppi, uno black metal finlandese e l’altro austriaco. In più di un fumetto e di un videogioco.
Nei libri italiani La maschera di Pazuzu di Vito Introna, Il volo di Pazuzu di Mauro D’Angelo, Pazuzu di Yon Kasarai. Ne L’ombra del dio alato e nei racconti Jay-rtf e Il ritorno di Jay da me scritti. Come gigantesca statua di sei metri, ancor più grande di quella “finta” vista nel prologo de L’esorcista, montata nel castello di Rivoli nell’estate del 2008, come “guardiana” dell’allestimento sonoro di Roberto Cuoghi, Suillakku, una orgiastica miscelazione di rumori, musica e canti, che l’autore ha ipotizzato essere lamentazione collettiva in una profusione di suoni, versi animali e musiche da altre dimensioni, che definire “demoniaca” sarebbe assai riduttivo. Della durata totale di dieci minuti, ma trasmessa ad libitum senza stacchi intermedi, Suillakku ti afferrava nelle viscere e ti trascinava in un universo lisergico e antico, dove malasorte e spiriti maligni sono tutt’uno con le tempeste di vento e le distese di sabbia a perdita d’occhio. Paesaggi della mente che forse ci portiamo dentro, come un’impronta nel DNA a ricordare che i primi grandi contrasti della storia dell’umanità, quelli tra noi e l’Altro Demoniaco, avvennero proprio in questi set primordiali.
E forse proprio qui sta l’enorme intuizione di Wlliam Peter Blatty a proposito di Pazuzu.
7) Forse consacrazione definitiva:
«… afferrai le cartelle di sinistra e le aprii sulla scrivania. L’antichità con i primi demoni della storia umana, scaturiti dalla tradizione sumera e da quella babilonese. Mi soffermai su una delle principali creature di questa mitologia: Pazuzu, di origine assira, signore delle febbri e dei flagelli. Ai tempi dell’università avevo seguito un corso di demonologia. Conoscevo quel mostro, con le sue quattro ali, la testa di pipistrello e la coda di scorpione. Personificava i venti malefici, portatori di malattie e infermità. Osservai il suo grugno rincagnato, i denti caotici. Aveva ispirato secoli e secoli di tradizione diabolica. E quando si girava un film importante sul diavolo, come L’esorcista di William Friedkin, era ancora Pazuzu, angelo nero dei quattro venti, che veniva riesumato dalle sabbie dell’Iraq.»
Scritto da uno dei più attenti “Rabdomanti del Male”, il francese Jean-Christophe Grangé, autore del celeberrimo I fiumi di porpora e i cui testi, solo in apparenza polizieschi, sono sempre percorsi in sottotraccia da un brivido metafisico profondamente horror. Non fa eccezione, anzi scava nel demoniaco più degli altri, l’adrenalinico Le serment des limbes (in Italia, Il giuramento, Garzanti, Milano, 2008), serratissima indagine sul Male e sul satanismo durante la quale il ghigno di Pazuzu torna più volte a tormentare i sonni (e la veglia) del protagonista io narrante. Un grande omaggio a Blatty.