di Ettore Grassano.
Leggendo ieri del bel progetto alessandrino Orti in città mi è venuto spontaneo pensare al proverbio “l’orto fa l’uomo morto”, che in passato ho sentito più volte citare con ironia dall’esimio collega Giampaolo Pansa.
Ma una rapida ricerca su google mi ha consentito di scoprire che, già tre anni fa, ci dedicammo al tema. Confesso che non lo ricordavo.
Cito allora volentieri le riflessioni di allora, che per quanto mi riguarda rimangono valide.
Un conto è, in una società di anziani, offrire loro un piacevole passatempo. Altro incitare al ritorno all’orto, o alla decrescita felice, come opportunità per le generazioni più giovani, da cui è lecito attendersi invece altre pulsioni, impulsi, attività.
Credetemi: chi inneggia alla decrescita felice o lo fa da posizioni di benessere acquisito e sostanzialmente non “scalfibile”, o farnetica: nessuna decrescita (alias impoverimento) sarà mai vissuto, sulla propria pelle, in maniera felice.
Ecco, invece, un dato significativo su cui riflettere: cresce in maniera esponenziale il numero degli italiani, adulti in età da lavoro, che chiedono e ottengono il “visto” per trasferirsi, in maniera permanente, all’estero.
All’interno della comunità europea, ma anche e soprattutto negli Stati Uniti, e un po’ ovunque nel resto del mondo. E’ una vera e propria fuga di massa.
E stiamo parlando, in molto casi, di persone ad alto livello di competenze e specializzazione, che giustamente cercano un contesto in grado di apprezzarle e valorizzarle. Ma, fosse anche gente che emigra per fare il pizzaiolo o il manovale, si tratta comunque di gente dinamica, che ci prova e se va. Forse anche per non doversi ritrovare, anzitempo, a zappare l’orto.