di Enrico Sozzetti
L’agricoltura sociale è possibile. Anche all’interno di un carcere. Perché è grazie anche a queste iniziative che “i detenuti percepiscono l’utilità, il sentirsi sulla strada buona”. Elena Lombardi Vallauri, direttore degli istituti penitenziari ‘Cantiello e Gaeta’ (casa circondariale di piazza don Soria, 260 detenuti, e la casa di reclusione di San Michele, 360 detenuti), non nasconde la soddisfazione per la firma di un protocollo operativo, che non ha molti precedenti, fra l’istituto penitenziario, la Cia (Confederazione italiana agricoltori) di Alessandria e la cooperativa sociale Coompany per la realizzazione “di un progetto per l’acquisizione di competenze tecnico/pratiche agroecologiche di base per una prospettiva di reinserimento sociale”. L’organizzazione guidata dal presidente Gian Piero Ameglio gestisce il corso professionalizzante che consente di ottenere una serie di abilitazioni (utilizzo di fitofarmaci, guida di mezzi agricoli, sicurezza sul lavoro, uso di attrezzature). Sotto il coordinamento del responsabile tecnico e della formazione della Cia di Alessandria, Fabrizio Bullano, l’iniziativa è partita con due detenuti (un italiano e un marocchino) che hanno già partecipato a una prima uscita all’esterno.
Mentre per i due corsi interni di giardinaggio e di ortofrutticoltura c’è un limite massimo di quindici partecipanti, per quello della Cia non ci sono, potenzialmente, limiti organizzativi.
“Essendo un corso professionalizzate – precisano Elena Lombardi Vallauri e Piero Valentini, responsabile dell’area educativa – sarà seguito da detenuti con condanne lunghe, ma anche da chi è arrivato al fine pena e intende approfondire la formazione”.
L’istituto penitenziario seleziona i detenuti beneficiari del progetto e favorisce la partecipazione alle attività, teoriche e pratiche. La cooperativa Coompany attiva i corsi utilizzando i terreni, tecnicamente prestati in comodato d’uso dall’istituto, sia all’esterno, sia all’interno. I detenuti otterranno una certificazione finale da utilizzare una volta scontata la pena. L’accordo ha durata sperimentale di un anno e potrà essere rinnovata, sempre annualmente.
“Per un imprenditore è un dovere etico impegnarsi in un passaggio di qualità come questo. Siamo di fronte – commenta Carlo Ricagni, direttore della Cia – a una opportunità per noi come per i carcerati. C’è chi, una volta scontata la pena, ha trovato un posto di lavoro grazie a iniziative simili. Ora si apre una nuova possibilità”.
In questa esperienza non manca anche un altro aspetto, quello del servizio sociale. Infatti dal mese di maggio sono trentatré i volontari coinvolti a livello nazionale nel primo progetto di servizio civile dedicato all’agricoltura sociale e promosso dalla Cia e dall’Inac (Istituto nazionale assistenza cittadini) nazionale. Per l’Inac di Alessandria è Angela Manassero a seguire il progetto.
A giudizio di Piervittorio Ciccaglioni, assessore comunale alle politiche sociali, lo strumento messo a punto grazie all’accordo consentirà di aiutare “non solo il reinserimento, ma anche di evitare che vengano sfruttati, oltre che di lavorare in piena sicurezza”.
L’agricoltura sociale finalizzata al reinserimento lavorativo è solo l’ultima novità per l’istituto penitenziario alessandrino. Sono ormai consolidate da alcuni anni delle esperienze, interne, che hanno consentito di avviare una produzione di ortaggi che, sotto la cura dalla Coompany, oggi si attesta intorno ai seimila chili, ma che può arrivare dieci-tredicimila chili.
“Il risultato è il frutto – osserva Paolo Bianchi, imprenditore agricolo che assicura la consulenza alla cooperativa – di una serie di corsi di avvicinamento all’agricoltura. Oggi, anche grazie all’accordo con la Cia, è possibile ragionare su un arco di tempo pluriennale per programmare la produzione orticola e finalizzarla alla commercializzazione esterna attraverso un punto vendita aperto ad Alessandria una o due volte alla settimana. I prodotti saranno certificati e nel 2019 potranno contare su un marchio identificativo”.
All’interno della casa di reclusione di San Michele è stato aperto da circa cinque anni dalla cooperativa Pausa Cafè di Torino un forno che realizza, con farine biologiche del Molino Grassi di Parma e utilizzando il lievito madre, circa ottocento chili di pane al giorno, cotto all’interno di un forno a legna di cinque metri di diametro e commercializzato nei punti vendita Coop di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.