Tuber Micheli. Questa denominazione che si ritrova nei manali di micologia a noi profani non dice nulla: in realtà è il nome con cui nel mondo scientifico viene classificato quello che noi, comunemente, chiamiamo tartufo bianco, considerato sin dall’antichità come un cibo rinomato tanto che Giovenale né spiegò l’origine come frutto di un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia.
Tra le località che sin dal Medioevo erano riconosciute per la ricerca e il commercio del tartufo: Casale Monferrato, che serviva la corte mantovana dei Gonzaga e Tortona la famiglia dei Visconti-Sforza di Milano.
Non solo Alba, quindi, ma dalla Val Curone, alla Valle Ghenza, da Bergamasco a Murisengo, da Acqui Terme alla più nota fiera di San Baudolino ad Alessandria: tra fine ottobre e novembre nell’intero territorio provinciale brulicano le fiere del tartufo.
Se tradizione della raccolta del tartufo, fino ad alcuni anni fa, poteva ricondursi a un patrimonio orale e di consuetudini appartenenti alla popolazione anziana e tramandata di generazione in generazione, oggi la figura del trifulau sta parzialmente cambiando profilo. Certo rimangono i riti, i posti segreti sussurrati, ma oggi la passione per la raccolta del prelibato fungo ipogeo si sta estendendo anche alle giovani generazioni e alle donne. Oggi sono oltre 70.000 raccoglitori sono abilitati formalmente alla raccolta di tartufo da regioni, province, Comunità Montane (ora Unioni Montane), di cui più di 6.300 in Piemonte.
Del resto l’Italia ‘è il primo produttore ed esportatore al mondo del tuber magnatum (tartufo bianco) e rappresenta, insieme alla Francia, la realtà più importante a livello mondiale per la produzione, trasformazione e commercializzazione del tartufo.
Quello del tartufo è un mercato caratterizzato da una domanda tendenzialmente stabile, tipica dei beni di lusso, e da prezzi volatili che, per le specie più pregiate e nelle annate di scarsa produzione, raggiungono livelli ragguardevoli (fino a 4.000 €/kg ).
Nel mercato italiano, poi, possiamo trovare due diversi canali: uno legato alle tradizioni enogastronomiche dei territori di origine, ed un secondo orientato prevalentemente all’export.
L’offerta è estremamente frammentata mentre la domanda intermedia ha caratteri quasi monopsnonistici nelle fasi della trasformazione e distribuzione.
Quest’anno le quotazioni toccano i 2.100 euro al chilo per un tartufo bianco oltre i 50 grammi (il più pregiato) e 250 euro al chilo per quello nero, valori in ribasso (-44%) rispetto allo scorso anno, grazie, soprattutto alle abbondanti precipitazioni (+56% rispetto all’estate 2017) che ne hanno facilitato la proliferazione.
Il Tuber magnatum Pico, infatti, si sviluppa in terreni freschi e umidi sia nelle fase di germinazione che in quella di maturazione e l’andamento del prezzo (che non arriva a toccare i livelli di quello dell’oro, ma supera di gran lunga quello dell’argento) cala all’aumentare dell’offerta.
Certo il costo rimane ancora non molto abbordabili, ma in un’occasione speciale una grattatina di tartufo su un buon risotto quest’anno ce la si può concedere.