La parola cultura di prim’acchito può evocare qualche polveroso intellettuale chiuso nella sua biblioteca e incline a dar lezioni.
Spogliandoci dei pregiudizi, di cui, purtroppo, la nostra società è intrisa scopriamo, invece quanto siano attuali le parole di un grande pensatore del secolo scorso, Antonio Gramsci. “Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri”.
E la coscienza del tutto dovrebbe farci comprendere le profonde connessioni esistenti tra economia e cultura: fino a qualche decennio fa i due termini parevano non avere alcun legame, mentre oggi sia gli economisti sia gli organismi internazionali riconoscono una stretta connessione tra l’ambiente culturale in cui si manifestano le attività economiche e gli effetti economici stessi.
Il valore del sistema culturale e creativo in Italia ammonta oggi a quasi 90 miliardi di euro e, grazie a un moltiplicatore che lo scorso anno è stato dell’1,8, genera a sua volta altri 160 miliardi di fatturato. Il sistema coinvolge 1.500.000 persone, più di 400.000 imprese e contribuisce, complessivamente, al 17% del PIL nazionale.
Un vero e proprio settore produttivo, quindi, che richiede un approccio differente a quello utilizzato sinora e che, invece, deve ispirarsi a logiche più di carattere “industriale”.
Diversi sono i tipi di politiche che possono essere declinati nel settore culturale:
1. quelli relativi al patrimonio culturale, declinato in tutto l’arco del suo valore identitario, di riscoperta delle radici, di strumenti per la sua protezione, restauro, valorizzazione, digitalizzazione, qualificazione;
2. gli strumenti a supporto delle imprese creative e culturali;
3.l’applicazione delle tecnologie e delle skills digitali
4. il capitale umano, l’aumento delle competenze, la necessità di formazione on the job.
Vi sono da un lato sistemi produttivi specializzati nelle attività ‘core’ della cultura, ossia le industrie culturali, quelle creative, le performing arts, le arti visive, fino ad arrivare alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico e artistico.
Dall’altro vi sono alcune realtà manifatturiere che, pur non specializzate nelle attività tipiche del settore, contribuiscono a veicolare i contenuti culturali e creativi del Paese attraverso l’effetto contaminazione che le industrie culturali e creative attivano sul resto dell’economia e, in particolare, sulle attività manifatturiere tipiche del made in Italy.
Il territorio alessandrino mostra un tessuto variegato dove convivono grandi imprese, marchi storici, con start-up innovative, micro-imprese e eccellenze artigiane nei settori della moda (Borsalino, ma nel contempo stanno sorgendo anche diverse start-up), dell’orafo, del design, dell’agroalimentare (dalla Novi cioccolato alla Campari, ai produttori locali) e delle costruzioni, che può costituire un terreno fecondo su cui creare sinergie con settori legati al mondo della creatività e dell’intrattenimento.
A tal proposito nuove tecnologie e la cosiddetta Internet of things possono costituire un fattore abilitante e di vantaggio competitivo su cui investire per rafforzare questi settori, proprio per il loro contenuto ad alto tasso di conoscenza ed innovazione.
C’è un animo gentile anche nell’economia, basta provare a coltivarlo e seguirlo.