Psichiatria: un reparto ‘aperto’ all’avanguardia nella cura delle malattie mentali

piantato_ennioDegenza ordinaria, Day Hospital, un ambulatorio generale e uno specifico per i disturbi dell’umore. Oltre 400 ricoveri ordinari nell’ultimo anno, una cinquantina di Day Surgery e più di duemila prestazioni ambulatoriali. Con questa struttura e con queste cifre si presenta il reparto di Psichiatria dell’Ospedale di Alessandria. Ma non è tutto.

Numeri e organizzazione, anche se di tutto rilievo, non bastano. Le malattie mentali si curano anche (e soprattutto) grazie al fattore umano. A confermarcelo è il direttore del reparto, il dr. Ennio Piantato (nella foto), che abbiamo incontrato per conoscere meglio una realtà così importante e all’avanguardia – come vedremo – della nostra azienda ospedaliera.

Dr. Piantato, com’è impostato il reparto di psichiatria che lei dirige?
Lo definirei un reparto ‘porte aperte’, nel senso che alcuni nostri pazienti, in determinate fasce orarie, possono uscire dal reparto stesso e andare al bar dell’ospedale a bere un caffé, o fare quattro passi come qualunque degente. Alcuni escono da soli, altri invece li accompagniamo. Certo, questa è una opportunità che non è possibile dare a tutti… i malati gravi evidentemente non possono uscire.

E i degenti “normali” non si accorgono di avere a fianco un malato mentale?
Il nostro obiettivo è proprio questo: che il malato mentale sia indistinguibile dagli altri. Per questo, prima di lasciarli uscire, i nostri pazienti li guardiamo bene, perché devono essere in ordine come chiunque altro. È la migliore campagna anti-stigma che possiamo promuovere.

piantato_cota_giorgione2Avete mai avuto problemi, durante queste “licenze”?
Non solo non abbiamo mai avuto problemi, ma riscontriamo ogni giorno che questa “libertà” può essere considerata una parte integrante della terapia, non soltanto un semplice sfogo temporaneo. All’interno del reparto, oltretutto, vediamo solo effetti positivi: poche tensioni, nessun infortunio, nessuna fuga. L’atmosfera in reparto, anche grazie alle ottime professionalità che vi operano, è molto gradevole.

Voi avete aperto anche un ambulatorio per le malattie dell’umore…
Abbiamo riscontrato manifestazioni di disagio legate a problemi sociali, che hanno effetto sull’umore della persona. I disturbi che ne conseguono possono essere un campanello d’allarme per patologie molto più gravi, e dunque è essenziale intercettarli prima possibile. Tenga anche presente che la soglia del dolore psichico si è molto abbassata, nell’epoca in cui viviamo. Oggi ci sono pazienti che cadono in forme depressive anche pesanti per una separazione o per un divorzio. Ogni giorno posso costatare che l’essere umano è molto, molto fragile.

Come curate i vostri malati?
Il nostro obiettivo è che arrivino a un distacco emozionale, affinché possano liberarsi dalle psicosi e dunque vivere meglio. La psichiatria più diffusa, che definirei “biologica”, tende invece ad annientare gli incubi e le ossessioni ricorrendo troppo frequentemente ai farmaci. Il farmaco per me è importante, ma non è tutto. È essenziale, per esempio, coinvolgere i familiari, che invece tendono a staccarsi dal paziente, anche solo per paura. Ma il paziente, una volta dimesso, normalmente rientra in famiglia… fare in modo che tutti siano pronti, per quanto possibile, è un traguardo raggiungibile. Utilizziamo anche altre terapie: potrei citare, come esempio, il programma di ‘Fit Walking’ [ndr: una disciplina in cui si cammina ad una velocità superiore al normale] che coinvolge alcuni nostri pazienti nella struttura del Dipartimento Riabilitativo Borsalino. Devo ringraziare il direttore del Dipartimento, il dr. Petrozzino, che ha creduto in questa opportunità.

Che cosa è possibile fare, in termini di prevenzione?
Bisogna fare in modo che si creino luoghi dove si può parlare liberamente di queste cose, e in cui sia possibile essere ascoltati. Io collaboro direttamente con ‘Tessere le identità’, un’associazione che si occupa di tematiche di genere, che comprendono anche (ma non solo, evidentemente) le malattie mentali. Mi sembra una strada interessante, per una prevenzione efficace.

Che cosa ha imparato in questi anni, come uomo e come psichiatra?
Ho imparato che la malattia mentale può colpire chiunque, nessuno escluso. Il “confine” tra sano e malato di mente è molto, ma molto permeabile. Questa consapevolezza annulla ogni distanza e mi permette di trattare da uomini i pazienti che ho di fronte. Spesso sono persone di condizione sociale umile o disagiata, che qui in reparto trovano un’accoglienza e una umanità che a volte non esiste nemmeno a casa loro. Questo, mi permetto di dirlo, è per me una grandissima soddisfazione. Sia come medico, che come uomo.

Andrea Antonuccio

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