Si celebrerà con la prima nazionale dello spettacolo teatrale “Abbiamo solo meno diritti”, in programma per domenica 9 settembre alle ore 20,30, il secondo compleanno del Parco Eternot (situato dove un tempo sorgeva la fabbrica Eternit) di Casale Monferrato, città simbolo della lotta mondiale all’amianto.
La rappresentazione teatrale, ospitata a Casale Monferrato per la sua “prima” per motivi evidentemente simbolici, è liberamente ispirata al libro di Marta Fana “Non è lavoro, è sfruttamento”; l’adattamento è a cura di Matteo Monforte, regia di Stefano Bendato, supervisione artistica di Andrea Cegna, attore Davide Fabbrocino, voce narrante Lorenza Neri, comunicazione Lucia Tolve (produzione Recovery Colture).
La serata, organizzata dal Comune di Casale Monferrato, Afeva, Cgil, Cisl e Uil, è a ingresso gratuito e si svolgerà al Parco Eternot che, dalla sua inaugurazione, ha già ospitato diversi personaggi illustri come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e diversi artisti, diventando location per diverse manifestazioni, le celebrazioni per la Giornata dedicata alle Vittime dell’Amianto e il Vivaio Eternot, monumento vivo dedicato a chi si dedica attivamente alla lotta contro la fibra killer.
«Nessuna conquista è per sempre, neanche la messa al bando dell’amianto e la bonifica come parola d’ordine di ogni Amministrazione. In un contesto così precario il Parco Eternot diventa sempre più un simbolo raro di civiltà, di coesione sociale, di difesa dei diritti e di fiducia nella capacità dell’uomo di essere migliore: custodiamolo come il monumento più prezioso della nostra città» spiega il sindaco Titti Palazzetti.
«Aspettiamo con trepidazione di assistere a questo spettacolo perché ancora una volta ricordiamo il passato ma siamo allo stesso tempo propositivi, con una serie di iniziative in tutt’Italia, nella nostra lotta all’amianto» commenta il presidente di Afeva Giuliana Busto.
In caso di maltempo lo spettacolo sarà rinviato a venerdì 14 settembre.
Non è lavoro, è sfruttamento – Sinossi
Dicevano: meno diritti, più crescita. Abbiamo solo meno diritti. La modernità paga a cottimo. Così dilaga il lavoro povero, spesso gratuito, la totale assenza di tutele e di stabilità lavorativa. È una condizione che coinvolge più di una generazione. Non più solo la generazione Erasmus e i Millennials, ai quali si è ripetuto il mantra dei giovani schizzinosi o emigranti per scelta. Ma anche le generazioni precedenti. Da troppo tempo si tace sulla perdita di diritti e sul crescente sfruttamento, la chiamano pace sociale. Ora è il momento di fare pulizia: il lavoro è la questione fondamentale del nostro tempo.
Giovani e meno giovani costretti a lavorare gratis, uomini e donne assuefatti alla logica della promessa di un lavoro pagato domani, lavoratori a 3 euro l’ora nel pubblico e nel privato: questa è la modernità che paga a cottimo. Sottoccupazione da un lato e ritmi di lavoro mortali dall’altro. Diritti negati dentro e fuori le aziende per quanti non vogliono cedere al ricatto. Storie di ordinario sfruttamento, legalizzato da vent’anni di flessibilizzazione del mercato del lavoro. Malgrado la retorica della flessibilità espansiva e del merito come ingredienti indispensabili alla crescita sia stata smentita dai fatti, il potere politico ha avallato le richieste delle imprese. Il risultato è stato una cornice legislativa e istituzionale che ha prodotto uno sfaldamento del mondo del lavoro: facchini, commesse, lavoratori dei call center, addetti alle pulizie in appalto procedono in ordine sparso, non sentono più di appartenere alla medesima comunità di destino.
Le inchieste di Marta Fana sul Jobs Act e la sua lettera al ministro Poletti, condivise da migliaia e migliaia di lettori, hanno portato alla luce la condizione del lavoro in Italia, imponendola all’attenzione pubblica come voce di un’intera generazione.