Come raccontavo qualche settimana fa a proposito di una squadra di Torino che ha preso un calciatore portoghese parecchio famoso, per trovare un altro acquisto di straniero dello stesso club altrettanto importante bisogna tornare a Platini o, prima ancora, ad Omar Sivori.
Anzi quell’acquisto (in un’altra era calcistica) contribuì a cambiare non solo le fortune di una squadra ma gli equilibri del calcio mondiale, come scriveva Brera. Sivori “ha appena vinto il campionato sudamericano con l’Argentina, a Lima. Su questo campionato del Sudamerica conviene indugiare perché risulterà determinante nella storia dei mondiali 1958. Il Brasile lo affronta ancora a WM e viene ridicolizzato dagli argentini, che hanno allestito un trio centrale da tuoni e fulmini. I componenti di questo trio inedito sono il diciannovenne Omar Sivori, il diciassettenne Antonio Valentin Angelillo e il poco più che ventenne Humberto Maschio. Come dice chiaramente il cognome tutti e tre sono oriundi italiani, Sivori è ligure di origine, Angelillo lucano, Maschio pavese di Godiasco. Gli argentini si esaltano in loro e li battezzano “los angeles con la cara sucia” (gli angeli dalla faccia sporca). Non appena ne hanno notizia, le società italiane li comprano a suon di milioni.”
Sivori lasciò tracce profonde da noi, prima a Torino poi sotto il Vesuvio, dove arrivò in una delle operazioni megalomani del Comandante Achille Lauro, che prese anche il nostro adoratissimo “conileone” (di nuovo un’invenzione breriana) Josè Altafini e che – si racconta – convinse l’Avvocato a cedergli il “cabezon” argentino scegliendo turbine Fiat anziché Rolls Royce per alcune navi della sua flotta.
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Si diceva degli equilibri del calcio mondiale. L’Argentina di Lima fu subito smantellata, e i tre angeli dalla faccia sporca fecero una poco onorevole carriera nella nostra nazionale, mentre per vedere la albiceleste sul tetto del mondo dovremo aspettare il già raccontato mondiale del 1978.
Il Brasile imparò la lezione, adottò il quattro-due-quattro ormai classico delle squadre “carioca” vincenti, infatti in questi anni trascurato (davvero non si poteva vedere ai recenti mondiali la nazionale giallo-oro schierata come se lottasse per la bassa classifica della Liga), per andare a vincere il mondiale disputato in Svezia. Ah, sì, certo, nel frattempo aveva esordito un giovanissimo, un certo Pelè, e quindi anche questo contribuì a cambiare non poco gli equilibri, perché hai voglia a trasformarti in un anno cambiando schema, ma se ci aggiungi un ragazzino di diciassette anni che nella finale della Coppa Rimet segna un gol rimasto tuttora uno di quelli più ricordati e raccontati, tutto diventa più facile.
In quel campionato del Sudamerica del ‘57 invece il Brasile prima che dall’Argentina, un netto 3-0 aperto proprio da Angelillo e Maschio, aveva perso pure contro l’Uruguay che era all’epoca la sua “bestia nera”, nonostante due dei protagonisti del famigerato “Maracanazo” come Ghiggia che segnò il decisivo 2-1 e Schiaffino, miglior giocatore della Coppa Rimet del 1950, li avessimo già “naturalizzati” al tempo degli oriundi, tempo ben poco felice per gli azzurri.
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Alcides Ghiggia nella nostra nazionale esordì in uno dei momenti più sfortunati, le partite di qualificazione perse proprio in vista di quel mondiale 1958 vinto poi dal Brasile di Pelé, l’altra nostra mancata partecipazione prima di questa Russia 2018.
Con lui in azzurro c’era Schiaffino, tuttora ricordato per l’eleganza (anche da un verso di una canzone di Paolo Conte), di scarso successo con la nostra nazionale e invece molto vincente col Milan.
Proprio nel club rossonero finirà l’avventura italiana Ghiggia, dopo che i due oriundi uruguagi (sulle presunte origini nostrane del piccolo Alcides c’erano parecchi sospetti) si erano ritrovati in giallorosso a Roma.
La vendita del centrocampista aveva imbufalito i tifosi “casciavit” mentre l’ala destra che aveva fatto piangere tutto il Brasile con quel gol in contropiede a dieci minuti della fine (“Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanà. Frank Sinatra, Papa Giovanni Paolo II e io”) avrebbe presto dovuto lasciare la capitale: per via di un’inattesa gravidanza tutti seppero che, sulle decapottabili americane che tanto amava, caricava studentesse all’uscita dalla scuola media.
I due fecero comunque in tempo a vincere la Coppa delle Fiere 1960-61, praticamente l’unico trofeo internazionale dei giallorossi, anche se nessuno dei due disputò le finali contro il Birmingham dove invece giocò Ramon Lojacono, altro pittoresco oriundo che abbiamo visto anche qui al Moccagatta.
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Nelle finali giocò pure Antonio Valentin Angelillo, uno degli “angeli dalla faccia sporca” che aveva percorso l’allora trafficata Milano-Roma (partendo dalla sponda nerazzurra) dopo che HH si era liberato di lui con la scusa (se lo era) delle energie irrimediabilmente perse dal calciatore nelle notti insieme alla ballerina Ilya Lopez (anche di lei abbiamo già parlato, ricordando come nonostante il nome d’arte esotico fosse più prosaicamente bresciana).
Oltre all’Inter il centravanti perse per quella storia da rotocalco pure la nazionale, e sarà l’unico dei tre “angeles” a non andare ai mondiali del Cile del 1962.
Nessuno dei tre, comunque, ha un record di eccezione con gli azzurri: 2 presenze e 1 gol Angelillo, 9 con 8 gol (nessuno importante) Sivori, 4 presenze Maschio che dei tre avrà la carriera meno luminosa qui da noi, ma che sarà tra i protagonisti della infame “battaglia di Santiago”, uscendo col naso rotto dal match di pugilato col cileno Sanchez, fuori programma durante i concitati minuti in cui Ferrini espulso dall’arbitro Ashton si rifiutava di lasciare il terreno di gioco.
Già, Giorgio Ferrini, destino sfortunatissimo, capitano del Torino, e ci torneremo a breve, anche perché quella bianconera non è l’unica squadra del capoluogo regionale ad avere acquistato stranieri tutti da raccontare.
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