La battaglia di Alessandria del 25 luglio 1391 [Alessandria in Pista]

Copia di Cento cannoni per Alessandria [Alessandria in Pista] 33di Mauro Remotti

 

 

Dopo il successo sugli Angioini, avvenuto nel mese di luglio del 1315 alla confluenza dello Scriva nel Po, Marco Visconti[1] prese possesso di Alessandria, che l’anno successivo entrò definitivamente nell’orbita dei duchi di Milano. Alla fine del XIV la nostra città si trovò coinvolta nelle guerre scatenate da Gian Galeazzo Visconti[2], che mirava a estendere i suoi domini sino alla Toscana. I fiorentini chiesero così aiuto al re Carlo VI di Valois[3] che inviò una spedizione di 15.000 soldati al comando di Giovanni III conte d’Armagnac[4].

I francesi invasero il territorio alessandrino, e dopo aver compiuto diverse scorrerie e saccheggi, cinsero d’assedio Castellazzo per poi puntare sulla piazzaforte di Alessandria. Si racconta che il conte d’Armagnac, da buon guascone, si divertisse a provocare gli alessandrini ingiuriandoli, e invitandoli a regolare la contesa in campo aperto. Gian Galeazzo Visconti, che aveva già provveduto a potenziarne le difese della città, mandò in supporto il condottiero Jacopo Dal Verme[5], con un numero di uomini armati decisamente inferiore rispetto al nemico[6].

 

Il 25 luglio del 1391 il conte d’Armagnac, probabilmente confidando in una facile affermazione, si mosse con una parte delle truppe verso Alessandria, e dopo circa un miglio, arrivato al “ponte della cappella” (all’altezza della cascina Moisa), fece smontare i suoi 1.500 cavalieri per avviarsi a piedi sino a uno steccato in legno collocato per difesa della porta Genovese[7]: “un’operazione apparentemente curiosa, dato l’armamento pesante della cavalleria del tempo, ma giustificata dall’intenzione di non stancare i cavalli prima del combattimento”.[8]

Jacopo Dal Verme, saltò fuori improvvisamente proprio da quella porta con 500 valorosi guerrieri[9] piombando sul rivale. Dopo alcune ore di combattimento, in cui nessuna delle due parti riusciva a prevalere, la “migliore gioventù alessandrina”, con a capo Andreino Trotti[10], uscì dalla porta Marengo per dare man forte al proprio capitano; subito dopo, una seconda squadra, guidata da Tommaso Ghilini[11], colpì al fianco destro i francesi, i quali si diedero precipitosamente alla fuga.

Ad avviso dello storico Jean Froissart, in quella torrida giornata di luglio “discendeva dal cielo un calore così grande che propriamente sembrava a coloro che vestivano le armature di essere in un forno tanto l’aria era calda e senza vento”.  Inoltre, “la polvere e il fumo che saliva da terra e gli stessi respiri molestavano grandemente i combattenti, ma più che i loro avversari ne risentivano gli uomini del conte d’Armagnac”, che anche per questo motivo furono clamorosamente sbaragliati.[12] Riferisce Fausto Bima[13], che la località del cruento scontro venne chiamata per molti secoli “il carnero”[14].

Secondo la tradizione popolare, Giovanni III d’Armagnac, ferito gravemente, si lanciò verso il fiume Bormida, dove venne catturato dall’alessandrino Benzio Bussazzi (o Benzo Busazzio). Il conte francese spirò la notte del giorno seguente, e per ordine di Dal Verme fu sepolto con tutti gli onori nella chiesa di San Marco, che diventerà poi la cattedrale di Alessandria.

Il trionfo militare venne degnamente celebrato in tutto lo stato di Milano, e in particolare nei centri di Alessandria e Castellazzo, mediante diversi giorni di feste religiose e civili. Con il bottino delle spoglie nemiche, il capitano Jacopo Dal Verme acquistò alcune case in Alessandria che fece abbattere per far edificare una chiesa dedicandola a San Giacomo, la cui festa ricorre nel giorno della battaglia. Per conservare in perpetuo la memoria della vittoria, un’iscrizione in latino campeggia sotto la cornice della facciata[15] del tempio.

La battaglia di Alessandria[16] (detta anche di Castellazzo) fu altresì ricordata dal famoso poeta Ludovico Ariosto nel canto XXXIII dell’Orlando Furioso[17].

 

 

[1] Marco Visconti, figlio di Matteo I e di Bonacossa Borri, fu un brillante comandante. Nel 1329 venne preso al Broletto, soffocato e buttato dalla finestra da sicari del nipote Azzone.

[2] Gian Galeazzo Visconti, nato  16 ottobre 1351, fu signore e poi duca di Milano. Morì a Melegnano nel 1402.

[3] Carlo VI, figlio di Carlo V e di Giovanna di Borbone, regnò in Francia dal 1380 al 1422.

[4] Giovanni III,  conte d’Armagnac e di Rodez, si era distinto in diverse azioni militari. Nel 1391 dovette partire per l’Italia per aiutare Carlo Visconti, signore di Parma e marito di sua sorella Beatrice, che era in conflitto con suo cugino Gian Galeazzo Visconti.

[5] Jacopo Dal Verme nacque a Verona nel 1350 da Luchino Dal Verme e Jacopa di Bonetto de’ Malvesini.  Valoroso capitano di ventura, venne ingaggiato prima dai signori di Verona, poi dai Visconti e infine dalla Repubblica di Venezia, dove morì nel 1409.

[6] Probabilmente poco più di duemila lancieri e tremila armati.

[7] Nel punto in cui attualmente Piazza Marconi comunica con Piazza Garibaldi, in un’area dove sorgeranno molto tempo dopo i rioni Pista e Cristo.

[8] Claudio Zarri, La battaglia di Alessandria del 1391, in Alessandria da scoprire, Ugo Boccassi editore, 1994.

[9] Tra i quali, il nobile perugino Biondo de’ Michelotti e Cecchino Broglia.

[10] Andreino Trotti fu uomo d’armi al servizio dei Visconti. Morì probabilmente nel 1412. Era di sua proprietà la Torre Pio V di Frugarolo che conservava un ampio ciclo di affreschi tardo-trecenteschi, ora custoditi nel Museo Civico di Alessandria.

[11] Il patrizio alessandrino Tommaso Ghilini fu prima al servizio di Carlo VI e poi dei duchi di Milano.

[12] Aldo A Settia, Rapine, assedi, battaglie: la guerra nel Medioevo, Gius Laterza & figli, 2004.

[13] Fausto Bima, Storia degli Alessandrini, Ferrari-Occella & C., 1965.

[14] Negli Annali di Alessandria, Girolamo Ghilini riporta che i cadaveri dei soldati vennero sotterrati in una cava di mattoni che si trovava nel luogo dello scontro.

[15] Anno Xti MCCCLXXXXI die XXV Julii festo S. Jacobi Apost. Alexandrina Juventus Duce Jacobo Vermensi Exercitum Comitis Aremoricoe profligavit et templum hoc, inde Aedificatum Divo Jacob dicavit, quod ab hac Victoria de Victoria appellatur.

[16] Vedi: Alberto Ballerino, San Giacomo fatale ai francesi, il Piccolo; Piercarlo Fabbio, AAA: Ariosto, Alessandria e l’Armagnac, 20/11/2015; Piero Bottino, Quella vittoria alessandrina nel S.Giacomo di 625 anni fa, La Stampa del 24/07/2016;  

[17] Orlando Furioso, Canto XXXIII: [21] Lor mostra poi (ma vi parea intervallo/ Di molti e molti, non ch’anni, ma lustri)/  Scender dai monti un capitano Gallo,/ E romper guerra ai gran Visconti illustri/ E con gente francesca a piè e a cavallo/ Par ch’Alessandria intorno cinga e lustri/  E che ’l duca il presidio dentro posto,/ E fuor abbia l’aguato un po’ discosto [22 ] E la gente di Francia malaccorta,/ Tratta con arte ove la rete è tesa,/Col conte Armeniaco, la cui scorta/ L’avea condotta all’infelice impresa/Giaccia per tutta la campagna morta/ Parte sia tratta in Alessandria presa/ E di sangue non men che d’acqua grosso,/Il Tanaro si vede il Po far rosso.