Ospiti per il consueto appuntamento domenicale di ALlibri, una rodata coppia di autori milanesi ben noti nel mondo della letteratura di genere, Andrea Carlo Cappi e Paolo Brera. L’estratto in lettura è tratto dal romanzo La spia del Risorgimento (edito in ebook da Algama Editore) dove si racconta del nizzardo José Pau, spia di Napoleone III nell’Italia del 1859. L’uomo si muove abilmente tra salotti nobiliari, covi di cospiratori e campi di battaglia, pronto a cambiare identità e alleanze a seconda dei momenti. Con i troppi segreti che cela anche a se stesso, non dovrebbe mai cedere ai sentimenti. Eppure si innamora di Speranza Schmertz, giovane austriaca cresciuta a Milano che simpatizza per i rivoluzionari, benché sia figlia del capo della polizia segreta nel Lombardo-Veneto. Braccato dagli austriaci, sorvegliato dagli inglesi e spiato dai russi, José parte per Napoli con una nuova, rischiosa missione: fermare Garibaldi prima che cambi il corso della Storia.
La spia del risorgimento è un classico romanzo storico ricco di intrighi e passioni e sostenuto da una forte e credibile ambientazione.
LO SCRITTORE
Mi sveglio prima dell’alba, dopo una notte agitata in cui mi hanno tormentato i soliti sogni: don Geremia, la cattedrale di Santa Reparata dove ho fatto la Prima Comunione, le navi dello zio Jérôme nel porto Limpia e, in sottofondo, qualche terribile minaccia mai compiutamente espressa.
«Non sei tu», mi dico. Non sono io quello minacciato. Ho sempre visto che coloro su cui si abbattono le sventure sono i malvagi oppure, all’opposto, le vittime designate, sempre piene di cristiana rassegnazione, sempre irresolute come agnellini. Io non sono né l’una cosa né l’altra. Ho commesso molti peccati, ma senza vera cattiveria. E d’altro canto non mi lascio mettere i piedi in testa.
Mi godo ancora un po’ il tepore della mia cuccia sotto le coperte. Il gelo di febbraio mi aggredisce appena fuori dal letto: i vetri delle finestre hanno arabeschi di ghiaccio. – Milan es pas Nissa! – Nella mia Nizza, il ghiaccio si vede di rado. Sento che Mariona sta sfaccendando in cucina. Luisa dev’essere andata a prendere l’acqua alla fontana.
Il mio cipollone d’argento, che ne ha viste tante ma racconta solo l’ora, dice che sono le sette e quindici. È un oggetto tecnicamente perfetto, basta non scordarsi di caricarlo e segna sempre l’ora precisa, il che è importante perché io sono un vero fanatico della puntualità. In ogni cosa, del resto, voglio un ordine preciso, una misura esatta. Lo spazio e il tempo devono essere scanditi in modo nitido, spezzati in piccoli tòcchi come il formaggio lodigiano: l’unico modo che possa consentirne un consumo razionale.
Anche la carica di polvere che spinge i proiettili Minié del mio fucile Enfield è dosata al centigrammo, tutte le cartucce hanno rigorosamente lo stesso peso. Qui a Milano i Minié e l’occorrente per le cartucce si trovano solo dall’armaiolo nella contrada di San Celso, pesantemente sorvegliata dalla polizia austriaca. Ma vale la pena di rischiare.
Scarico la vescica nel vaso da notte, poi lo rimetto nella commode a fianco del letto e mi sento infine pronto ad affrontare la giornata. Ficelle verrà alle otto e mezzo. Lo accoglierò in veste da camera.
«Mariona!» chiamo a voce molto alta. Non ho ancora capito se sia davvero sorda o faccia solo finta. La stessa cosa si può dire del governo austriaco del Lombardo-Veneto: quando non reagisce alle rivendicazioni dei nazionalisti, non ci sente sul serio oppure non vuol sentire? La governante, alla fine, si accorge che la sto chiamando e arriva.
«Mariona, è già passato il carretto del lattaio? Sì? Allora preparami una bella tazza di cioccolata.»
«Ciccolada? Va ben», replica lei.
«E minga de bestisa, neh!» le grido dietro quando esce, fingendo di essere allegro. “Niente sciocchezze.” È più o meno tutto quello che capisce Mariona di nizzardo. Ma quali “sciocchezze” potrebbe poi fare, lei? Avrà quarant’anni e, se un tempo è stata bella, oggi lo si potrebbe scoprire solo dagli archivi della polizia, perché ogni altra traccia di grazia femminile le è scomparsa dal viso come dal corpo.
Minga de bestisa è quello che mi diceva sempre don Geremia. Ma anche lui, perché me lo diceva? Che sciocchezze facevo, da bambino? Ho solo qualche ricordo della mia infanzia. Don Geremia mi terrorizzava sempre parlandomi dell’Inferno.
La cioccolata è deliziosa, calda e dolce. Io ci sminuzzo dentro un po’ del pane di ieri. Questi milanesi hanno un pane a piccoli pezzi che si chiamano “michette”: è buonissimo il primo giorno, ma dal secondo in poi tanto vale masticare cuoio. Però la cioccolata nobilita tutto.
Ficelle mi porterà la gazzetta di oggi. Mentre lo attendo, sento la Musa agitarmisi nel petto. Allora mi siedo alla scrivania, sperando che l’inchiostro non sia gelato nel calamaio, prendo la penna e il pennino, stendo un bel foglio di carta bianca davanti a me e comincio…
… un bel niente, comincio. La Musa si è subito nascosta.