Quantomar per l’Argentina [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

Dunque le eliminazioni dirette al Mondiale sono iniziate con il più classico tra gli otto incontri, e Francia-Argentina non ci ha certo deluso. Già finire 4-3 è mettere una buona ipoteca sulle probabilità che la gara venga ricordata.

Il primo dei miei appunti mentre la guardavo dice: “Quanto a eleganza, non c’è partita tra Deschamps e Sampaoli. Se si pensa che nel precedente del 1978 in panchina gli argentini avevano il bellissimo Flaco Menotti…”

Già, uno dei due precedenti alla Coppa del Mondo tra blues e albiceleste risale al 1978 e, come abbiamo raccontato poche settimane fa, la decise nel giorno assai tragico in cui perse per un incidente stradale suo fratello “El pulpo” Leopoldo Luque con un gol stupendo che fissò il risultato sul 2-1 dopo il rigore segnato da Passarella e il momentaneo pareggio di “Le roi” Michel Platini.

L’altra volta che le due squadre si erano incrociate invece va indietro addirittura all’epoca dei pionieri, a quel 1930 in cui per la prima volta il mondiale si disputò, paese ospitante (e campione) l’Uruguay con cui adesso i francesi – che ho pronosticato per la vittoria finale – se la vedranno al prossimo turno.

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Mentre uno dei giovani che avevo segnalato, Mbappé, spaccava la partita, e spuntavano eroi (e antieroi) di giornata, da quel Pavard che segnava un gol che neanche lui sa come a tal Meza, ultima disperata arma (confinando in panchina a guardare annoiati la loro nazionale perdere Dybala, piuttosto che Higuain) dell’inqualificabile Sampaoli per evitare di riattraversare l’Oceano nel mesto ritorno a casa, vale la pena di ricordare cosa fosse il campionato mondiale quasi un secolo fa.

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La maggior parte delle nazionali europee aveva scelto di non andarci nemmeno fino in Uruguay, e la stessa Francia se ne sarebbe volentieri rimasta a casa. Peccato che l’ideatore del trofeo fosse Jules Rimet che insistette tanto, e pareva brutto snobbarlo dopo tutto lo sforzo organizzativo.

Insomma qualcuno alla fine partì, in piroscafo come si faceva allora, i francesi a bordo del Conte Verde su cui viaggiava anche Rimet insieme alla Coppa che porterà il suo nome, quella bellissima a forma di vittoria alata che ci soffieranno definitivamente, quarant’anni dopo, i brasiliani battendoci nella finale di Mexico ’70.

I transalpini si imbarcarono in Costa Azzurra, noblesse oblige, a Villefranche-sul-Mer unendosi ai rumeni saliti a Genova, che era il porto da cui partiva per la traversata il transatlantico di proprietà ligure appartenente alla compagnia di navigazione Lloyd Sabaudo. 

A Barcellona si sarebbero poi aggiunti i belgi, a Rio de Janeiro anche i brasiliani mentre era salpata con il Florida da Marsiglia la Jugoslavia composta interamente da calciatori serbi, e infatti si guadagnarono il soprannome “gli ich” per le desinenze dei cognomi.

Il Conte Verde ci riporta all’epoca delle traversate via nave, quando noi costruivamo splendidi piroscafi, e dai cantieri di Glasgow uscirono anche il Conte Rosso (di cui si ricorda l’affondamento da parte di un sommergibile inglese, durante la seconda guerra mondiale, in cui morirono quasi 1300 nostri soldati), il Conte Grande e il Conte Biancamano, unico parzialmente sopravvissuto. Il Conte Verde, che si chiamava così in onore di Amedeo IV conte di Savoia e d’Aosta, finirà la sua vita avventurosa nei mari d’oriente, affondato (più di una volta) dai bombardieri americani, visto che dal 1932 anziché ai viaggi verso il Sud America venne destinato alla rotta tra Trieste e Shangai e che durante la seconda guerra mondiale finì al Giappone.

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Eliminata l’Argentina è con ogni probabilità tramontata la speranza di Messi di vincere un grande torneo con la nazionale, mentre poche ore dopo anche il suo eterno rivale CR7 rifaceva le valigie, e di lui si ricorderà un campionato europeo vinto da bordo campo dopo l’infortunio che l’aveva escluso dalla finale. Foste in loro non barattereste i troppi palloni d’oro che gli hanno dato con un trofeo vero?

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Non tutti poterono imbarcarsi sul Conte Verde. L’accademia musicale di Parigi non concesse le ferie a Gaston Barreau, non poteva rinunciare per due mesi al suo impiegato sarà perciò la Francia a rinunciare al suo allenatore. Ottenne le ferie invece Lucien Laurent, operaio della Peugeot, che segnerà (sotto la neve!) il primo gol di sempre dei Mondiali all’esordio contro il Messico. Due giorni dopo, quando i francesi scesero nuovamente in campo, appunto contro l’Argentina, ad azzopparlo ci pensò il solito, ineffabile Luisito Monti (che prenderà palla o gamba, e molte volte gamba, anche per noi al successivo Mondiale, dopo che l’avremo naturalizzato). Non solo Monti andava poco per il sottile. Un trafiletto a pagina 2 di La Stampa il giorno dopo la partita, 16 luglio 1930, da Alessandria raccontava: “La frattura di una gamba ha riportato il calzolaio Carlo Gobbi colpito da un compagno durante una partita di calcio e ne avrà per due mesi.”

C’è un trafiletto anche sull’esito della partita, non molto più lungo. Proprio Monti decise l’1-0 su rigore a favore dell’albiceleste. Si giocava allo stadio del Penarol, il Pocitos, perché il Centenario lo stavano ancora finendo di costruire. Gli spettatori furono un migliaio, mal contati, secondo i racconti di oggi. All’epoca si leggeva invece: “dinanzi ad un pubblico imponentissimo”. Mah?

L’enorme Centenario venne completato per l’esordio dei padroni di casa, e sul giornale si legge: “La cerimonia inaugurale, che ha dato l’impressione di una grande serata di gala all’Opera…”

La notizia sportiva principale era comunque quel giorno: “Guerra buca alle porte di Marsiglia e perde due minuti”. Il Tour de France era molto più importante della Coppa Rimet e L’Auto, quello che diventerà L’Equipe, non mandò nessun cronista oltre Oceano. I reportage usciranno a firma “p.c.” perché a scriverli furono Pinel e Chantrel, due calciatori della nazionale francese.

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Sarà di nuovo un trafiletto nella pagina “Tutti gli sport in tutto il mondo” a informarci dell’esito di quella prima edizione della Coppa Rimet vinta dai padroni di casa, mentre il giorno dopo lo spazio andrà tutto alle prime polemiche. Si legge infatti in una notizia da Buenos Aires che “gravi torbidi sono scoppiati nella capitale argentina quando si apprese, per telefono senza fili, che l’Uruguay aveva battuto l’Argentina… I giornali argentini dichiarano che la squadra vincitrice non ha vinto che per il suo giuoco brutale e che è stata favorita dall’arbitro belga”.

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p.s. “Ahi, quantomar quantomar per l’Argentina” sta nel testo di una (bellissima) canzone di Ivano Fossati che si intitola appunto ‘Italiani d’Argentina’. Storia che discende dai tempi in cui, ancor prima di costruirli i piroscafi noi italiani li prendevamo per, come si diceva, andare a cercare fortuna oltre Oceano.