di Giorgio Bona.
Il tempo invecchia in fretta è il titolo di un libro straordinario di Antonio Tabucchi.
È vero, mi viene voglia di dire, il tempo invecchia in fretta e tutto ha un significato profondo e fa pensare. Ma in me incalza il detto alla piemunteisa u temp l’è me al cü e al fa cul che al vò lü. Non è il caso che traduca perché credo che questo detto lo capiscano anche i foresti.
Accade dunque che il tempo biologico sia in simbiosi con il tempo meteorologico. Il tempo cancella tutto e pulisce ogni cosa recita un vecchio detto popolare, la memoria è tabula rasa aggiungo io.
Questa riflessione mi viene osservando il paesaggio della Val Susa e intanto i ricordi si mescolano dentro e macinano pensieri, rabbia, scorie della nostra vita.
Guardo la devastazione di un territorio che cede il passo al progresso, frutto di una politica malaccorta e furtiva che non ha la cultura e l’intelligenza del rispetto. Ma la memoria è ancora viva e incalza nel tempo presente. Quando el ‘me amsè (mio nonno) nel 1925 fu vittima di un “trasferimento forzato” per motivi politici da parte del regime, fu costretto a una vacanza durata ben diciotto anni in alta montagna (andiamo a respirare un po’ d’aria buona diremmo noi oggi). Partì con la sua famiglia al seguito, mia nonna, al ‘me barba (mio zio) e mio padre che era in arrivo e si stabilì a Salbertrand (Salbertrand in occitano, Salabertano me cal diva ‘me amsè in italiano).
I racconti che muovono il ricordo parlano di una vita durissima, c’era davvero da cagare le ostie, ma ‘me amsè al mulava nent, se l’era rus l’era rus e andava avanti.
Inverni rigidissimi, mia nonna raccontava che dovevano scavare una galleria nella neve per uscire di casa. Mio pà e al ‘me barba facevano cinque chilometri a piedi per raggiungere la scuola in paese e calzavano un paio di scarpe che ‘me amsè aveva cucito su misura per loro.
Per campare ‘me amsè aveva fatto un po’ di contrabbando, c’erano per dirla alla mandrogna quattro bocche da sfamare e quattro culi da far cagare, e allora ogni tanto si concedeva una vasca (termine che si usa a chi passeggia nella via più snob della città) in alta quota per andare in Francia e ritorno.
Adesso sembra impossibile raccontare a chi è giovane di quel mondo lontano, cosa significasse attraversare quei valichi con venti chili di patate sulla schiena dentro uno zaino e tornare con un chilo di zucchero e qualche pastiglia di saccarina.
Quel mondo non c’è più, resta solo nella memoria e bisogna che qualcuno lo racconti e lo tenga vivo. È vero, il tempo invecchia in fretta. E le distanze si accorciano. Basta un foro nella montagna e si arriva in Francia in sette o otto minuti, questo è il bello del nostro progresso, la nostra amata civiltà.
E se la letteratura ha attinto da storie come quella del ‘me amsè per riscattare un mondo che la storia cancella perché il tempo invecchia in fretta mi chiedo a cosa attingerà negli anni futuri. Se quello che ci viene riservato è questo spettacolo indegno cui stiamo assistendo.