Oggi non mi è per niente facile. Non so nemmeno se lo sarà domani. I tempi di reazione si fanno sempre più lunghi e complicati. Non è semplice né decifrare quel che sta succedendo sul nostro angolo di pianeta, né interpretare le dinamiche che regolano la collettività.
Forse per via di quell’uso sempre più sconsiderato di parole quali democrazia, uguaglianza, trasparenza, diritti, religione, condizione umana. Parole che poi trovano la loro realizzazione pratica nel sostegno a operazioni di carattere militare contrabbandate per operazioni di pace, oltre che all’iper sfruttamento delle risorse e degli uomini consumato in nome del volemose bene, della crescita sociale e dello sviluppo. Ovvero, il progresso dell’uomo e del mercato, al quale tutti devono contribuire, ognuno facendo la propria parte per il bene comune.
Ciliegina sulla torta è la riscoperta, per divina ispirazione, del nome Francesco, appellativo che vorrebbe contrapporsi all’attuale tsunami di guerre, impoverimento, disoccupazione, dissanguamento da rapine fiscali e finanziarie che sta travolgendo quelli che abitano ai piani bassi dell’intero globo terracqueo.
Pare essere l’epoca del tutto e del contrario di tutto, condita da appiccicosa mistificazione, giustificata a ogni livello da chiunque sia deputato ad aprire la bocca. A una condizione, che ci si esprima pescando nel solito ripetitivo dizionario fatto dei pochi termini sopraelencati, vanagloriosi e ormai depauperati della loro autentica sostanza. Forse gli amanti di fantascienza mi potrebbero risollevare lo spirito spiegandomi che si tratta di un virus proveniente da Marte che si sta diffondendo sulla Terra. Devo solo avere pazienza. Basta aspettare l’arrivo dell’antidoto direttamente dal mondo astrale. Purtroppo per me, non ho mai capito la fantascienza, così come nemmeno le storie di spionaggio. Al massimo, le tollero al cinema. Di solito mi limito a guardare le immagini sullo schermo, a seguire scene d’azione, ma sulla trama complessiva mi perdo sempre per strada affranto dalla noia e dall’incomunicabilità di uno sceneggiatore che, forse a tanti si, ma a me pare non aver nulla da dire.
Nell’attuale mondo reale mi succede più o meno la stessa cosa. Posso apprezzare immagini sparse, ma nell’insieme mi è difficile osservare, capire, riflettere, scegliere e quant’altro compete a un uomo di buona ragione. Guardo il movimento che lo tsunami provoca attorno a me, standomene seduto sulla punta delle falde del tetto di una baracca. La posizione è incerta e scomoda e incomincia a crearmi qualche sgradevole problema tra le natiche. Mi sento senza difese, e i vigili del fuoco non arrivano a salvarmi. Vorrei reagire. Ma in questo momento della vita, ho superato anche l’aspetto dell’essere “contrario”.
Naufraga tra le acque limacciose il desiderio di oppormi a un’idea differente dalla mia, ma pur sempre tale come pensiero o come guida in un comportamento. Perché opporsi implica soprattutto una considerazione dell’esistente. E che dire? Ormai sono entrato nella catalessi dell'”estraneità”, e che nessuno venga a farmi polpettoni moralistici sulla rassegnazione o sul menefreghismo. L’estraneità è altro. Un’opera d’arte realizzata sui sentimenti di un numero sempre maggiore di persone. Uno strumento per leggere il mondo.
Lo ha testimoniato un nobel della letteratura come Albert Camus. Lo Straniero. Il primo libro nel quale mi sono specchiato da sedicenne, un testo che parlava a me (anche a me) come neanche i volumi di Walt Disney di quand’ero bimbo, o i tanti Salgari, o il Michele Strogoff, l’Oliver Twist in quei formati ridotti con cui sono (siamo) cresciuti. Lo Straniero, accattivante sovraccoperta rossa dell’Editore Bompiani, e il volto di Marcello Mastroianni che emerge dalle tenebre del nero per lasciare intuire un testo crudo con un mistero da risolvere. 1500 lire (in proporzione il costo dei libri rispetto al valore di uno stipendio medio è rimasto inalterato da allora) per conoscere un incipit unico nel campo della scrittura. Quanto meno inquietante “Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so…”
Come narra in prima persona con disarmante sincerità Meursault, che uccide un uomo, un arabo, sulla spiaggia di Orano sparandogli cinque volte. Perché? Senza alcuna ragione plausibile. Punto e basta. Camus si limita a trasferire uno stato d’animo in termini letterari raccontando un fatto di cronaca nera. Senza però sviluppare una trama poliziesca. L’omicidio come strumento. Così come il processo seguito all’arresto di Meursault basato sulla piena sincerità (non confessione) del protagonista davanti al giudice. Senza finti tasselli di alcun mosaico messi in piedi ad arte dallo scrittore per sfidare il lettore a risolvere la trama.
Sono passati più di sessant’anni dalla stesura di quel romanzo. Ma il sentimento resta inalterato. Lo specchio dove riflettere quella stessa immagine e ancora appeso di fronte a noi. E non sembra interessato a finire in frantumi.