Per correre non basta esser agili, né basta per combattere esser valorosi, è scritto nell’Ecclesiaste. Però è sugli agili e sui valorosi che puntano i saggi, chiosava lo scrittore americano Damon Runyon.
La citazione, in paragone con il comportamento irrazionale della maggior parte dei tifosi, la fa Simon Kuper in un articolo, davvero interessante, scritto per il Financial Times.
Scrittore nato in Uganda da genitori sudafricani, cittadino britannico con un passato in Olanda, autore di ‘Ajax, la squadra del ghetto’ e (moderato, dice lui) tifoso degli aiaci, Kuper racconta cosa è successo a quelle squadre una volta nell’élite europea, ora surclassate dalla nuova élite delle super ricche. E peraltro con tuttora un supporto (molto emotivo) dei propri tifosi che non è certo diminuito.
Un articolo quello di Kuper, pubblicato un paio di mesi fa, dedicato oltre che al suo Ajax all’OM, alla Lazio, a club inglesi come Leeds United, Nottingham Forest e Aston Villa, perfettamente adatto a commentare una settimana in cui le partite delle coppe europee hanno fornito emozioni e batticuore come raramente nel passato, su tutte la fantastica “partita del cuore” della Roma contro il Barcellona, il cui simbolo resterà l’espressione stupefatta di Manolas, autore del gol decisivo.
Il viaggio di Kuper, e il nostro, parte dal Velodrome di Marsiglia, dove i tifosi locali hanno dimostrato ancora una volta il loro caldissimo attaccamento alla squadra nella vittoria che ha consentito di eliminare i tedeschi della RB Lipsia, giusto per essere sorteggiati ad affrontare, in semifinale della Europa League, gli austriaci della RB Salisburgo.
Come sapete, RB sta a indicare (palesemente o meno) la sigla di una bevanda energetica che non era conosciuta quando ero ragazzo, cosa che di certo non rimpiango. La politica aziendale applicata alle “lattine” è chiara: si compra una squadra investendo valanghe di soldi, la si stravolge a iniziare dai colori e dalle maglie (tutte uguali, in Austria, come in Germania, come nel club cugino di New York, dominate dal grande brand aziendale del toro), con la vittoria come unico scopo. Cioè l’esatto contrario del romanticismo con cui i tifosi delle squadre in declino continuano a seguire, per esempio, appunto l’Olympique.
Unica francese ad avere vinto la Coppa Campioni, quando il patron era il pittoresco (e assai spregiudicato, d’altronde parliamo della Marsiglia ai tempi della trilogia di Jean-Claude Izzo) Bernard Tapie e l’OM si trovò sulla strada del Milan prima nella famosa partita dei lampioni che scrisse la parola fine all’epoca Sacchi, poi nella finale decisa da una prepotente zuccata di Basile Boli: c’è un video molto simpatico, di Rudi Garcia appena nominato allenatore dei “phocéen” che arriva al centro di allenamento. Gli va incontro Boli e Garcia, stupito: “oooh, la légende”. Ecco, le squadre messe come l’OM hanno leggende, quelle di proprietà dei produttori di bevande energetiche, no.
Per dire come è dura per l’Olympique e per tutte le squadre simili oggi, c’è una dichiarazione sincera del nuovo presidente Eyraud, che rappresenta il proprietario della squadra, l’americano McCourt, un tycoon già proprietario dei Dodgers di Los Angeles del gioco del baseball che arrivando nel sud della Francia ha annunciato un progetto Champions: “Abbiamo detto che spenderemo 200 milioni in quattro anni per rinforzarci. Quant’è oggi? Il prezzo del solo Neymar.” Proprio gli acquisti delle squadre finanziate dai petrodollari hanno completamente sbilanciato gli equilibri, anche se finora gli straordinari fallimenti europei dei vari City o PSG sono stati felicemente celebrati dai tanti tifosi nostalgici.
Che continuano a soffrire (spesso) e a gioire (raramente, ma intensamente) seguendo come e più di prima i propri club.
Lo dimostra la reazione che, in un documentario divulgato al termine della campagna elettorale, ha un illustre tifoso come Emmanuele Macron, ripreso mentre, consultato il cellulare, sbotta: “Oh merde! Deuxième fois, putain!”, e all’agitazione di Brigitte spiega che si tratta non di un problema politico, ma di un’altra sconfitta del suo OM contro il Monaco.
Insomma, noi fan di queste squadre viviamo (felici) nel passato?
I tifosi dell’Ajax – scrive Kuper – talvolta durante una partita gridano “vogliamo vedere il vero Ajax”, come se i giocatori fossero rinchiusi nei sotterranei dello stadio e sostituti da impostori. Quelli del Leeds United, squadra tra l’altro protagonista di uno dei più bei libri mai scritti sul fùtbol (‘Il maledetto United’ di David Peace), e ora precipitata nelle serie minori, in un incontro contro il Yeovil Town hanno cantato per quasi tutto il secondo tempo: “We are not famous any more”.
Però, nonostante tutte le sconfitte e le frustrazioni, queste squadre continuano ad avere supporter numerosi e appassionati, in fondo felici di continuare ad andare allo stadio, per la passione per il gioco, o per proseguire una tradizione iniziata con i nostri padri, e che proseguiamo con i nostri figli.
Un sentimento incomprensibile per i tifosi (e non solo) di quelle squadre che hanno come sola ragione d’essere il vincere a tutti i costi, fino alla fine, che infatti danno di matto quando non succede (come nei film: ogni riferimento a quanto accaduto questa settimana a una nota squadra con la maglia a righe bianche e nere ecc.).
Un sentimento che invece ben conosciamo, e pratichiamo da molto tempo anche noi tifosi dei grigi.