“Ho cominciato ad occuparmi della ‘cosa pubblica’ intorno alla metà degli anni Settanta, e già allora in alcune aree, come la bassa Valle Scrivia, si iniziava a parlare di recessione, mentre Alessandria già dagli anni Sessanta tentava non senza fatica di ‘cambiare pelle’, trasformandosi da ‘company town” Borsalino-dipendente ad un’area di piccole e media impresa ‘diffusa’”. Roberto Livraghi è stato ed è molte cose: tra le altre, appassionato storico locale, e a lungo anche consigliere comunale a Palazzo Rosso (dal 1977 al 1992 fra i banchi della Democrazia Cristiana), e in epoca più recente, 2007-2007, assessore alla Cultura. E, ovviamente, il suo quarantennale percorso professionale all’interno della Camera di Commercio (di cui oggi è segretario generale) gli consente di analizzare con competenza l’evoluzione dello scenario delle imprese di casa nostra. Proviamo allora a sviluppare con il suo aiuto un’analisi del passato, che possa servire ad interpretare il presente, e ad immaginare il futuro della nostra comunità.
Dottor Livraghi, siamo ormai abituati a parlare quotidianamente di crisi, ma in fin dei conti l’Alessandria del 2018 appare complessivamente più benestante di quella del 1968, quando la città compì e festeggiò i suoi 800 anni…
Certamente è così, anche se oggi tendiamo a vedere il bicchiere mezzo vuoto, e a concentrarci sulle non poche criticità. Gli 850 anni dalla fondazione di Alessandria devono però servirci da un lato per riflettere su quanto è successo in questi ultimi cinquant’anni, dall’altro ad immaginare uno scenario percorribile. Nel 1968 Alessandria era una città più ‘giovane’ rispetto ad oggi, e con aspettative di espansione poi in buona parte non realizzate. Ma era anche una città che usciva da una dimensione di ‘fabbrica mamma’, la Borsalino, che fino ad allora aveva caratterizzato e guidato lo sviluppo del territorio. Il merito degli amministratori locali di quegli anni, e per tutto il decennio dei ’70 (quando tra l’altro il sottoscritto cominciò, ventenne, ad occuparsi di ‘cosa pubblica’), sta proprio nell’aver saputo immaginare, e gestire, una nuova fase di sviluppo, diciamo ‘post Borsalino’: realizzando aree industriali e artigianali che consentirono lo sviluppo di una piccola e media impresa ‘diffusa’, anche con aree di significativa specializzazione territoriale.
Zone industriali e artigianali che però oggi sono ancora le stesse di allora: segno che ad un certo punto Alessandria si è ‘seduta’?
(riflette, ndr) Non dimentichiamo anche il contesto, con il susseguirsi di una serie di crisi, anche ‘distrettuali’ e settoriali, ben prima di quella ‘epocale’ del 2007-2008. Comunque è indubbio che, nonostante alcuni segni di ripresa degli ultimi anni, ad un certo punto è mancato un po’ di slancio, che occorre recuperare.
Il ‘compleanno’ della città deve essere più un’occasione per ripensare il passato, e magari riscoprirlo, o invece è occasione per progettate il futuro?
E’ entrambe le cose. Prima di tutto rappresenta l’occasione per comprendere quanto è cambiato Alessandria in questi decenni. Un cambiamento che tutti noi abbiamo vissuto ‘in diretta’, e di cui proprio per questo magari non cogliamo l’importanza. Pensiamo agli aspetti culturali. Subito dopo il 1968 nasce il Conservatorio Vivaldi, così come lo conosciamo oggi, e non semplice ‘scuola di musica’. Contestualmente parte il Concorso di Chitarra Classica Pittaluga. Nei decenni successivi Alessandria, grazie prima alla locale Cassa di Risparmio, poi alla Fondazione Cra, investe moltissimo sulla riscoperta della propria storia architettonica, sulla valorizzazione di tante aree della città che sono oggi un valore su cui puntare: ultimo caso all’ordine del giorno il Complesso di San Francesco.
Tutto vero, e importante. Ma la cultura può davvero produrre anche reddito, oltre a consapevolezza delle proprie radici?
Il turismo, a ‘tinte’ sia culturali che enogastronomiche, sul nostro territorio provinciale è in forte crescita. Se proviamo poi a ragionare in termini di ‘quadrante’ Alessandria Asti, vediamo che in un decennio i turisti si sono moltiplicati per dieci, e credo sia un percorso destinato ad ulteriore crescita.
Guardiamo appunto allo scenario: cosa ci aspetta, e in che direzione deve muoversi Alessandria?
(sorride, ndr) Domanda davvero complessa, ma la sfida del futuro è lì, ineludibile. Non possiamo puntare su un solo filone, ma sul mix. La nostra economia di domani credo che non potrà prescindere dalla produzione: e penso all’industria, ma anche all’artigianato diffuso, e all’agricoltura ripensata in termini nuovi. La capacità di innovare è proprio lo snodo, in tutti questi settori: sapere offrire al mercato prodotti e servizi ad alto valore aggiunto, che soddisfino i bisogni di oggi. Lo stesso vale naturalmente per il turismo che abbiamo citato prima: è una leva interessante, ma i turisti di oggi sono esigenti, sia sul piano enogastronomico che culturale, e devi saper loro offrire accoglienza di qualità, a 360 gradi.
Alessandria città con l’Università: quando città universitaria?
E’ uno slogan che stanno usando in molti, ed è efficace. Ci sono però due aspetti da considerare: uno interno all’ateneo del Piemonte Orientale, e uno che riguarda la città e il territorio. L’Upo è oggi una realtà ‘tripolare’ da circa 10 mila studenti: i dati dicono che, per essere competitivo con le altre realtà universitarie, sia sul fronte della didattica che della ricerca, sarebbe auspicabile raddoppiare questa cifra: e qui naturalmente non può che essere l’ateneo, al suo interno, a mettere in campo scelte strategiche ed investimenti che lo rendano ‘attrattivo’. Poi c’è tutta la partita legata al territorio: Alessandria, per diventare davvero città universitaria, deve sicuramente fare un ‘salto di qualità’ dal punto di vista dell’offerta di accoglienza e servizi.
Dottor Livraghi, prima ha fatto cenno non a caso al ‘quadrante’ Alessandria Asti: le due Camere di Commercio stanno andando in quella direzione, ormai manca poco…
L’iter è ripartito, e credo che entro la fine dell’estate sarà completato. Ma non è solo un percorso delle Camere di Commercio: mi pare che tutte le realtà pubbliche stiano andando nella direzione di un ‘accorpamento’ di quadrante, che naturalmente deve essere realizzato non solo in ottica di risparmio e ottimizzazione di risorse, ma di valorizzazione dei territori, preservando le loro identità, e facendo in modo che, insieme, creino valore aggiunto. Naturalmente l’economia privata, a cominciare dalle associazioni di categoria e corpi intermedi, non è obbligata a seguire la stessa logica: ma mi pare che stia avvenendo nella gran parte dei casi.
A chi spetta la ‘governance’ di questo processo?
Fondamentale credo sia il ruolo della Regione, che sul fronte dei ‘quadranti’ in questi anni ha forse avuto qualche tentennamento di troppo, nel senso che le linee le ha definite, ma forse avrebbe dovuto stimolare certi percorsi con maggior vigore. Comunque il cammino è tracciato, si tratta di svilupparla con coerenza. Come Camera crediamo molto ad esempio al Monferrato come realtà unitaria, sia alessandrina che astigiana, e abbiamo creato gruppi di lavoro congiunti. Nella stessa direzione mi pare si stiano muovendo anche le Atl, e questo credo non potrà che portare ad una valorizzazione unitaria di un’area vasta che ha tratti di omogeneità evidenti.