In un’intervista del settembre 2015 Carlo (Fenaroli) così parlava di me (e di lui) sulle pagine di CorriereAl:
«… Lo dichiaro ufficialmente: mi piacerebbe scrivere, insieme a Danilo, alcuni ricordi e storie indelebili di quel gruppo di ragazzi straordinari che si ritrovavano, in piazzetta come in alcuni locali ‘mitici’ dell’epoca, spesso citati da Danilo. Mi creda, c’erano persone davvero particolarissime: una su tutte il grande Simone, all’anagrafe Giorgio Simonetti, che ci lasciò davvero troppo presto. Ma a proposito di disincanto e ironia alessandrina, che proprio in quegli anni imparai ad apprezzare, le racconto un altro aneddoto.
Eravamo studenti universitari, e alcuni di noi erano radunati di fronte all’Escobar a chiacchierare: di sicuro c’era Geppy Ferrando, gli altri non ricordo chi fossero. Vediamo arrivare, tutto sicuro di sé e con il passo da divo che fa la sfilata in provincia, Warner Bentivegna. Un nome che oggi dice poco e nulla ai più giovani, ma che all’epoca era un attore di teatro e TV tra i più famosi, star degli sceneggiati RAI tipo Una tragedia americana. Bene: noi ragazzi tutti a guardarlo, e ad esclamare ad alta voce: “È lui, è lui…”. Bentivegna gongola tutto, e ci passa di fianco sorridendo: proprio allora noi cominciamo a dire: “È lui, è lui, Alberto Lupo, grande Alberto!”. Alberto Lupo ovviamente era all’epoca il principale rivale artistico di Bentivegna, altro attore allora di gran moda. Con Danilo abbiamo vissuto in diversi locali cittadini dell’epoca. Tra tutti come non menzionare i Pierini? Lì ci portammo una sera a mezzanotte Dario Fo, che era venuto ad Alessandria con Mistero Buffo, se non ricordo male. All’epoca funzionava così: un gruppo di ragazzi ventenni del posto dava una mano a smontare la scena, e poi si andava a cena con l’artista. Altri tempi, decisamente. Pensi che poi, in anni recenti, Fo l’ho rincontrato, con Giorgio Albertazzi, su un Freccia Rossa Milano- Roma. E scendendo dal treno a Roma, a causa di una brusca frenata, gli ho anche pestato un piede, cavandomela con un “Scusi maestro, è la prima volta che schiaccio il piede a un Premio Nobel!”, e ci siamo fatti una bella risata… Poi ci sarebbero anche le ‘mitiche’ vacanze in campeggio in Iugoslavia, anche se non tutto si può raccontare. Beh, quelle erano davvero spedizioni folli, divertentissime: parliamo della seconda metà degli anni Settanta, e direi che Danilo nei suoi pezzi su CorriereAl le ha già ben sviscerate. In più posso solo aggiungere che, in quell’occasione, Arona si meritò ampiamente il suo soprannome, Il Conte, che lo accompagna da tutta la vita. Pensi che stavamo in tende attrezzate, con i bagni a 100, forse 200 metri. Ebbene, lui tutte le mattine usciva dalla tenda in accappatoio bianco, elegantissimo. Ma il bello è che per percorrere quei pochi metri prendeva l’auto! Un vero aristocratico. E poi naturalmente ci accomunava la passione per il cinema: credo che fu proprio durante quelle vacanze che andammo un pomeriggio in un cineforum locale: proiettavano un noir in lingua inglese, con sottotitoli in croato…
Verba volant e scripta manent, per fortuna. E, grazie alla rete e alle alchimie facili da compiere per chi resta, ecco che oggi scriviamo una cosa assieme. Con nessuna gioia, sia ben chiaro. Perché anche tu come Simone te ne sei andato troppo presto. In ogni caso, partendo dalla fine delle tue parole, ti vengo in soccorso: non era proprio un noir (secondo me ti eri addormentato…), ma un curioso film di sicuro inglese diretto dall’attore-regista David Hemmings, l’eroe di Profondo rosso. Era una strana storia – per noi chiaramente più strana dato che non capivamo quasi una mazza e non eravamo in grado di leggere il croato – che s’intitolava The 14, ispirata alla storia vera di un gruppo di 14 bambini con le loro vicissitudini dopo la morte della madre single. Devo dire che sei stato negli anni ’70 il mio più fedele compagno di spedizioni cinefile. Non era affatto facile starmi dietro. Già nella tua Genova amavi seguirmi nel buio di certi cinema tra i carrugi (allora c’erano) con banotte al seguito invece che starsene a sentire i seminari filosofici di Maria Teresa Antonelli: credo che ci siamo sciroppati, rigorosamente al pomeriggio alle 16, robe come Una messa per Dracula, Ciclops il vampiro e Gamera contro il mostro Gaos. E per quest’ultimo mi avevi fatto un cazziatone. Ma, bei tempi, si andava anche al cinema per pomiciare… Però mi seguisti anche in spedizioni serali sul serio da incorniciare: a Valenza per Distretto 13 di Carpenter e persino a Vercelli per vedere Manitù lo spirito del Male. Ricordo che, in pieno “stile Fenaroli”, non battesti ciglio quando ti proposi più o meno alle otto di sera di andare al cinema a Vercelli! Il tuo aplomb è rimasto intatto, suppongo, sino alla fine dei giochi…
In campeggio okay, è vero che andavo ai bagni in macchina, ma lo facevo per fare del soffoco, dai, per farci qualche risata. Come quella mattina che riproposi la stessa scena, avevo il Dyane decappottabile, e dopo avere spostato il tettuccio mi feci la doccia dentro l’automobile senza uscire mai dalla medesima. Tu non facesti una piega, come al solito.
Ce ne sarebbero mille ancora da raccontare, ma a due settimane del tuo viaggio improvviso fanno ancora male. Già, sei stato colui che in qualità di rappresentante del Comune, assieme a un altro grande amico che si chiama Gianni Porta, hai celebrato (per la cronaca: 23 settembre 1983) il mio matrimonio con Fabiana. Accidenti, come riuscire a restare serio mentre tu officiavi con aria solenne, incalzato da una risata enorme che premeva dalla gola per esploderti in bocca, scandendo le parole del rito civile. E quando hai fatto il discorso… Proprio non ce l’abbiamo fatta quando te ne sei uscito con «Questi sono due ragazzi che si stimano!». Non abbiamo mai saputo se era una battuta alludente all’inevitabile e mascolino Morbo dello Scimmione, però la sala tutta esplose in una risata liberatoria.
Tu, in perfetto stile Fenaroli, non facesti una piega. Solo un leggerissimo e trattenuto ghigno.